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Sentenza

Ai sensi dell'art. 245, comma 2 del D.Lgs. n. 152 del 2006, la messa in sicurezz...
Ai sensi dell'art. 245, comma 2 del D.Lgs. n. 152 del 2006, la messa in sicurezza di un sito inquinato non ha di per sé natura sanzionatoria, ma consiste in una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell'azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo finalità ripristinatoria, non presuppone l'accertamento del dolo o della colpa in capo al proprietario.
Cons. Stato Sez. VI, 03-01-2019, n. 81
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso NRG 1512/2013, proposto dalla V. s.p.a., corrente in M. e dalla S. s.r.l., corrente in S. S. G. (M.), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avv.ti Laura Soldano e Federico Bulfoni, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto in Roma, via Cicerone n. 44, presso l'avv. Giovanni Corbyons,

contro

- il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare-M., in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12 e

- l'ARPA Lombardia, in persona del Presidente pro tempore, non costituita in giudizio e

nei confronti

- del Comune di Sesto San Giovanni e della Provincia di Milano, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio,

- della Regione Lombardia, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Piera Pujatti, con domicilio eletto in Roma, via N. Porpora n. 16, presso l'avv. Emanuela Quici,

- di F. s.p.a. e di L.D. s.r.l., correnti in R., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dall'avv. Giuseppe Morbidelli, con domicilio eletto in Roma, v.le Maresciallo Pilsudski n.118 e

- di F. I. s.r.l. (ora, C.I. s.r.l.), corrente in R., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Luigi Vita Samory e Fabrizio Magrì, con domicilio eletto in Roma, via Guido d'Arezzo n. 18,

per la riforma

della sentenza del TAR Lombardia - Milano, sez. IV, n. 1711/2012, resa tra le parti e concernente l'approvazione del verbale della conferenza di servizi decisoria, relativa al sito di bonifica delle aree industriali dismesse in Sesto San Giovanni;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio solo del M. e della Regione Lombardia, nonché delle Società controinteressate;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all'udienza pubblica del 18 dicembre 2018 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti costituite, gli avvocati Bulfoni, Quici (per delega di Pujatti) e Morbidelli e l'Avvocato dello Stato Davide Di Giorgio;
Svolgimento del processo

- la V. s.p.a., corrente in M. e la S. s.r.l., corrente in S. S. G. (M.), dichiarano d'esser entrambe proprietarie di aree industriali nel territorio di quest'ultimo Comune, su cui insistevano e, in parte, esistono tuttora opifici industriali dismessi dalle imprese del gruppo ex-E., il cui patrimonio I., dopo varie vicissitudini, fu definitivamente trasferito alla L. s.r.l., alla F. s.p.a. ed alla F. I. s.r.l. (ex C.M. s.p.a.), con il relativo contenzioso verso terzi;

- in particolare, la S. s.r.l. il 4 luglio 1997 acquistò in esito ad apposita asta, indetta nella procedura a carico di N.B.F. s.p.a. in liquidazione, vari capannoni da locare a terzi, di cui uno già dal 1995 locato alla M. s.p.a.;

- la V. s.p.a. acquisì le sue aree, con sovrastati capannoni ed impianti compatibili con la propria sua attività industriale, dalla C.M. s.p.a. con rogito del (...), tra l'altro perché, a suo dire, la l. reg. Lomb. 15 novembre 1994 n. 30, recante interventi di recupero delle aree da destinare a nuovi insediamenti produttivi, le avrebbe assicurato la bonifica del terreno e della sottostante falda acquifera a spese delle venditrici;

- anzi, detta Società rende noto d'esser stata garantita sia, in sede di trattativa, dalla C.M. s.p.a. sull'assenza di fenomeni d'inquinamento nelle aree ex-B. per l'acqua di falda, sia, in base ad un accordo con la Regione Lombardia, dell'attuazione delle bonifiche previste dalla L.R. n. 30 del 1994 per l'intero comparto ex-B. (comprese, dunque, le aree de quibus) in parte a carico di tale dante causa e dell'allora I. s.p.a. in liquidazione (ora, F. s.p.a.);

- com'è noto, però ed in forza dell'art. 2 del DL 20 settembre 1996 n. 486 (conv. modif. dalla l. 18 novembre 1996 n. 582), l'area industriale de qua, nel territorio comunale di Sesto S. Giovanni, fu avviato a bonifica ed il relativo sito, ai sensi dell'art. 1, comma 4, lett. p-bis) della l. 9 dicembre 1998 n. 426 (sul punto novellata nel 2000), fu dichiarato d'interesse nazionale e perimetrato dal DM 31 agosto 2001, ambito nel quale ricaddero pure gli immobili attorei;

- a seguito di ciò fu svolto anzitutto un complesso di accertamenti in loco da parte dell'ARPA Lombardia circa la questione della bonifica delle acque di falda, tant'è che, in esito alla conferenza di servizi decisoria del 28 dicembre 2004, fu chiesto ai proprietari delle aree, compresa la S. s.r.l. di sottoscrivere il progetto consortile di bonifica, presentato dal Comune di Sesto S. Giovanni e che fu da essi sottoscritto, dichiarando la loro adesione a partecipare all'attuazione e gestione degli interventi per tal bonifica;

- intervenne quindi, l'8 giugno 2007, l'accordo di programma tra il M., la Regione Lombardia ed il Comune di Sesto S. Giovanni per la riqualificazione ambientale del SIN, specie per quanto riguardò l'adozione del progetto di bonifica per la messa in sicurezza delle acque di falda, a cura del Comune stesso, quale soggetto attuatore;

- dopo varie ed articolate conferenze di servizi, si pervenne a quella decisoria del 3 marzo 2011, la quale dispose anche per le aree di proprietà delle predette Società l'onere di partecipare alla messa in sicurezza dell'acqua di falda;

- con decreto direttoriale prot. n. (...) del 23 marzo 2011 (comunicato con la lettera raccomandata prot. n. (...) del giorno successivo) il M. approvò, ai sensi dell'art. 14-ter della l. 7 agosto 1990 n. 241, il verbale di detta conferenza e lo diramò ai proprietari delle aree su supporto informatico, con le relative prescrizioni;

- con nota del 16 maggio 2011, l'ARPA Lombardia (Dip.to di Milano), attuando le disposizioni di cui al e), nn. 6), 7), 8) e 9) del verbale di detta conferenza, richiese alla V. s.p.a. ed alla S. s.r.l. di provvedere agli interventi di messa in sicurezza d'emergenza - MISE per la falda sottostante alle loro aree;

Rilevato altresì che:

- entrambe le Società, non ritenendo d'esser responsabili dell' inquinamento dell'acqua di falda per le aree ex-C.M. -in base agli accertamenti svolti in situ verificatosi fino dagli anni '70 e la cui bonifica era già inserita nella l.r. 30/1994-, si gravarono ciascuna per proprio conto (ricorsi NRG 2433/2011 e, rispettivamente, NRG 2434/2011, notificati il 15 luglio 2011) innanzi al TAR Milano, chiedendo anzitutto l'annullamento del D.Dirett. n. 1208 del 2011, del verbale della conferenza di servizi del 3 marzo 2011, della richiesta degli interventi per la MISE della falda come stabiliti dall'ARPA Lombardia, nonché svariati atti presupposti (tra cui l'accordo di programma dell'8 giugno 2007);

- le ricorrenti chiesero pure l'accertamento della responsabilità di Regione e Comune per non aver tempestivamente coinvolto nell' attività di bonifica le imprese a partecipazione pubblica subentrate nella proprietà delle aree inquinate a seguito della definitiva estinzione dell'IRI -ritenute le sole effettivamente responsabili di tal inquinamento-, mentre la sola S. s.r.l. chiese la condanna al risarcimento dei danni fin qui patiti;

- in particolare, la V. s.p.a. dedusse:

a) l'illegittimità dell'istruttoria svolta, a cagione sia del travisamento dei presupposti di fatto, sia dell'indebito omesso coinvolgimento nel procedimento di bonifica tanto della C.M. s.p.a. (ora, F. I. s.p.a.) che della I. s.p.a. in liquidazione (ora, F. s.p.a) nella loro qualità di responsabili dell'inquinamento e, tra l'altro, di soggetti affidatari dell'attività di bonifica iniziata nel 1998 e collaudata nel 2004, nonostante le reiterate denunce della ricorrente e, soprattutto, l'onerosa attività di bonifica effettuata e non risolutiva e gli ulteriori oneri ora addossati ai privati proprietari (che, nella loro attività industriale, non usano gli agenti inquinanti accertati dall'ASL e pure dall'ARPA);

b) il difetto di un'attenta e rigorosa istruttoria sul progetto comunale di una barriera idraulica per bonificare la falda, quantunque approvato solo in via provvisoria e con prescrizioni dal decreto n. 4695 del 10 giugno 2008, essendo mancata una compiuta valutazione tecnica (idraulica, geologica e di funzionalità meccanica del manufatto) ed un'analisi approfondita sull'opportunità d'una tal scelta, donde l'illegittima imposizione della MISE della falda a tutti i soggetti ricadenti nel SIN, in sé ed a causa dell'incongruo e non pertinente richiamo della CDS al parere dell'ISS acquisito dal M. nel 2004 per il SIN di Venezia-Porto Marghera;

c) l'evidente illegittimità di tal generalizzata imposizione sol perché i relativi destinatari erano i proprietari delle aree inquinate da bonificare, senza che la P.A. avesse fornito un'adeguata ed esauriente motivazione sulla imputabilità soggettiva della condotta e, comunque, senza motivare le ragioni della scelta dei rimedi più opportuni in esito all'analisi comparativa tra le diverse alternative tecniche possibili;

- la S. s.r.l. dedusse a sua volta:

a) l'omesso coinvolgimento della ricorrente, con adeguato contraddittorio, nel procedimento di bonifica (specie se i relativi risultati si fossero tradotte in statuizioni onerose per i destinatari non coinvolti), i cui provvedimenti le imporranno un ingente onere economico, aggiuntivo a quello già sopportato per la bonifica del terreno (cui provvide da sola, ancorché non fosse responsabile dell'inquinamento riscontrato) ed al quale essa non sarebbe più in grado di far fronte;

b/c) le stesse doglianze dei corrispondenti motivi proposti dalla V. s.p.a.;

- l'adito TAR, con sentenza n. 1711 del 19 giugno 2012 e previa riunione dei citati ricorsi, dichiarò:

I) tardiva l'impugnazione contro il D.Dirett. n. 1208 del 2011, irrilevante appalesandosi sul punto, a fronte d'un tal provvedimento comunicato alle Società ricorrenti il 24 marzo 2011 (cfr. al riguardo l'all. n. 4 del fascicolo di primo grado) e di ricorsi notificati solo il 15 luglio, l'omessa indicazione del termine e dell'Autorità cui ricorrere, giacché tal vicenda sarebbe stata opponibile soltanto innanzi ad una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili, incertezza nella specie non rinvenibile per soggetti qualificati quali le ricorrenti su atti amministrativi sicuramente da impugnare in questa sede;

II) la conseguente inammissibilità dei ricorsi stessi laddove si rivolsero contro la richiesta di MISE per la falda, disposta dall'ARPA Lombardia il 16 maggio 2011 in attuazione del e), punti 6/9) del verbale della conferenza di servizi, trattandosi d'un atto meramente consequenziale rispetto al citato decreto n. 1208/2011;

III) l'irricevibilità dei gravami contro tutti gli atti pregressi, nei cui riguardi era ampiamente decorso il termine decadenziale per la loro autonoma impugnazione;

IV) il rigetto della domanda risarcitoria, essendo mancata la prova degli elementi costitutivi del danno subito;

Rilevato ancora che:

- appellarono quindi dette Società, col ricorso un epigrafe, deducendo l'erroneità della sentenza 'impugnata per:

A1) - l'impossibilità d'interpretare la norma chiara e precisa dell'art. 3 della l. 241/1990 -ove impone d'indicare nel provvedimento il termine e l'Autorità cui ricorrere (in caso contrario, determinandosi un vulnus al principio di certezza del diritto, che è parte integrante "dell'effettività della tutela giurisdizionale" ex art. 1 c.p.a.)-, nonché l'incongruo richiamo del TAR ad una giurisprudenza di questo Consiglio non attagliata alla peculiarità ed alla complessità del caso in esame, connotato dalla presenza di statuizioni amministrative (sulla bonifica del SIN di Sesto S. Giovanni) di non immediata comprensione anche con riguardo ai loro effetti prescrittivi e lesivi, in quanto alcune di esse necessitavano di ulteriori verifiche (VIA e VAS), progetti e nuove analisi;

A2) - la conseguente induzione in errore delle ricorrenti circa l'effettiva immediata lesività di tali statuizioni, la consapevolezza della quale essendo insorta solo quando esse ricevettero la richiesta (16 maggio 2011) dell'ARPA Lombardia sulla MISE della falda (atto, questo, sì gravato nei termini di legge), mentre dalla sola lettura del verbale della conferenza l'approvazione di esso e del relativo contenuto apparirono decisioni provvisorie e tali da imporre la notifica "... ai soggetti interessati (de)gli specifici provvedimenti di approvazione dei progetti definitivi di bonifica e contestuale autorizzazione all'avvio dei lavori..."e comunque ferma la necessità, prima di avviare i lavori, di "...richiedere al Comune di Sesto San Giovanni un aggiornamento in merito alla fase esecutiva della bonifica delle acque di falda...";

B) - non aver deciso sulle censure di merito in ordine alle indebite pretese di bonifica come MISE a carico di tutti gli attuali proprietari non responsabili, per tutte le aree ricadenti all'interno del SIN di Sesto S. Giovanni, non avendo le appellanti, a fronte delle spese già sostenute, alcuna intenzione di accollarsi i gravi oneri di tal attività;

C) - non aver colto che la S. s.r.l., unica ad aver proposto la domanda risarcitoria, in sede di memoria conclusionale aveva quantificato i costi fino ad allora sostenuti per la bonifica dell'area e della falda, costi tutti facilmente accertabili con la stessa rendicontazione presente agli atti della procedura di bonifica, parte integrante dei progetti relativi alle aree delle società ricorrenti;

- si sono costituiti in giudizio soltanto: a) il M., che conclude per il rigetto dell'appello; b) la Regione Lombardia, che, in disparte tutte le questioni sulla proprietà delle aree in questione e nei riguardi della C.M. s.p.a., eccepisce anzitutto l'impossibilità di riconoscere un errore scusabile in capo alle appellanti per il sol fatto dell'omessa indicazione, in calce agli atti impugnati in prime cure, del termine e dell'Autorità cui ricorrere, non ravvisandone nella specie i presupposti, l'inammissibilità della domanda (comunque prescritta da tempo) della domanda d'accertamento sulla responsabilità della Regione e del Comune di Sesto S. Giovanni per omessa vigilanza su un progetto di bonifica diverso da quello per cui adesso è causa, o sulla necessità di coinvolgere nel procedimento soggetti terzi e, nel merito, l'infondatezza dei motivi assorbiti e riproposti; c) la L.D. s.r.l., la F. s.p.a. e la F. I. s.r.l. che, in vario, modo chiedono l'estromissione dal presente giudizio e concludono nel merito per l'infondatezza della pretesa azionata;
Motivi della decisione

- si può prescindere da ogni questione in rito, poiché l'appello è privo di pregio e va disatteso;

- non è controverso tra le parti (cfr. pagg. 10/12 del ricorso in epigrafe), l'avvenuta ricezione, da parte delle appellanti, dell'impugnato decreto direttoriale è stato comunicato alle parti ricorrenti in data 24 marzo 2011, tant'è che esse si dolgono non già di tal vicenda, bensì ed alternativamente o dell'omessa indicazione del termine e dell'Autorità cui ricorrere per contestare tal decreto o della mancata valutazione concreta, da parte del TAR, della possibilità della rimessione in termini, per un errore scusabile (stante l'ambiguità del contenuto di detto decreto), situazioni, queste, disattese o misconosciute dalla sentenza gravata;

- quanto al primo aspetto, è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., ad. plen., 9 agosto 2012 n. 32; e, ancora da ultimo, id., VI, 17 maggio 2018 n. 2984; id., IV, 28 agosto 2018 n. 5066) il principio per cui, nel processo amministrativo, la rimessione in termini per errore scusabile ex art. 37 c.p.a. è un n istituto di carattere eccezionale, poiché deroga alla regola fondamentale di perentorietà dei termini d'impugnazione e quindi il medesimo art. 37 è norma di stretta interpretazione;

- invero, un uso eccessivamente ampio della discrezionalità giudiziaria, che l'art. 37 presuppone e con riguardo alle peculiari circostanze di fatto in cui è accaduto l'errore, non solo non rafforza l'effettività della tutela giurisdizionale, ma comporta un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti relativamente al rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale;

- circa il secondo aspetto, l'omessa o erronea indicazione, nel provvedimento impugnato, del termine o dell'Autorità cui ricorrere, richiesta dall'art. 3, comma 4 della L. n. 241 del 1990, non è di per sé sola causa autonoma d'illegittimità di esso, rappresentando soltanto una mera irregolarità e non giustifica, quindi, alcun automatismo nella concessione del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile, occorrendo a tal fine verificare, caso per caso, che siffatta mancanza o l'erronea indicazione abbiano determinato un'obiettiva incertezza sugli strumenti di tutela approntati dalla legge a favore dell'interessato;

- pertanto, tal omissione può determinare il riconoscimento dell'errore scusabile e la conseguente rimessione in termini, solo quando lo stato d'incertezza sia giustificato dall'oscurità e ambiguità della normativa applicabile, dal cambiamento del quadro legislativo, da contrasti in giurisprudenza o ancora da attività ictu oculi equivoche o contraddittorie poste in essere dalla P.A., in caso contrario risolvendosi detto vizio procedimentale nell'eversione indiscriminata dal termine di decadenza, con gravi riflessi sulla stabilità dei rapporti giuridici di diritto pubblico (giurisprudenza consolidata: cfr., da ultimo, Cons. St., VI , 11 settembre 2014 n. 4623; id., IV, 13 ottobre 2017 n. 4758; id., VI, n. 2984/2018, cit.);

Considerato al riguardo che:

- le appellanti inferiscono tal stato d'oggettiva incertezza non solo, o non tanto, dall'omissione della citata garanzia procedimentale, quanto, piuttosto e nell'ambito delle attività di bonifica del SIN di Sesto San Giovanni, da un insieme di circostanze individuabili: a) nella lunghezza e nella complessità particolare già del solo procedimento per la bonifica della falda acquifera; b) della varietà di indicazioni procedimentali e di prescrizioni in merito allo stato di avanzamento di siffatta bonifica, con riguardo alla posizione ciascuno dei soggetti coinvolti e proprietari di immobili nel SIN, oggetto d'intervento; c) nell'avvenuta effettuazione, da parte delle appellanti stesse e nelle aree di loro proprietà, dell'attività bonifica;

- da ciò discese, a loro dire, il convincimento della non definitività del decreto n. 1208/2011 o, comunque, della sua non perspicuità sul punto, indotto dal testo della missiva prot. n. (...) (di trasmissione del verbale della conferenza di servizi) ove si faceva espressa "... riserva di notificare ai soggetti interessati gli specifici provvedimenti di approvazione dei progetti definitivi di bonifica e contestuale autorizzazione all'avvio dei lavori...", affermazione, questa, che in una con l'omesso avvertimento di cui all'art. 3 della L. n. 241 del 1990 ingenerò nelle appellanti l'errore sulla lesività e, quindi, sull'impugnabilità del decreto de quo;

- con ogni evidenza le appellanti confondono il loro onere di partecipazione all'attività di bonifica, ossia l'an del relativo obbligo, con i tempi d'approvazione del relativo progetto e delle modalità concrete che servono ad attuarlo, ossia il quando ed il quomodo delle operazioni di bonifica, sicché l'uno è il titolo dell'obbligo ed è in sé immediatamente prescrittivo (e lesivo), le altre costituiscono l'elenco delle relative e consequenziali lavorazioni, che possono esser pure differite o diversamente articolate nel tempo e che sono prescrittive di volta in volta e per il loro specifico oggetto;

- è appunto quel che è accaduto nel rapporto di presupposizione tra il decreto n. 1208/2011 e la nota dell'ARPA Lombardia del 16 maggio 2011, che pose le prescrizioni attuative del e), punti 6/9) del verbale della conferenza di servizi, per cui queste ultime furono impugnate sì per tempo avanti al TAR, ma inutilmente, l'unico loro effetto lesivo ex nunc al più essendo strettamente legato al loro oggetto (o, meglio, alla congruenza o meno di questo al contenuto del e) e non potendo rimettere in termini le appellanti contro il decreto n. 1208;

- sfugge allora in che cosa mai le dirette prescrizioni della conferenza di servizi fossero oscure, non attuali o poco intelligibili agli occhi delle appellanti, in quanto, per un verso, queste ultime presero parte al procedimento di bonifica e ebbero la cognizione de relativi accertamenti e statuizioni e, per altro verso, dalla serena lettura del verbale e degli atti conseguenti non s'evince alcunché d'oscuro nella loro formulazione o di difficile o ambigua interpretazione, avendo il verbale della conferenza di servizi affermato chiaramente di voler procedere all'attività di messa in sicurezza delle acque di falda pure nei confronti delle odierne appellanti;

- appare, se non pretestuoso, certo abnorme l'avviso attoreo secondo cui le appellanti non potessero esser reputate, come invece e giustamente affermò il TAR, soggetti qualificati e, quindi, ben consci dei rapporti amministrativi già in atto e da tempo con le Amministrazioni di gestione e di vigilanza del SIN di Sesto San Giovanni, stante la loro natura di imprese proprietarie di immobili ed operanti con le loro attività economiche nel perimetro del SIN stesso, soprattutto dopo lunghi anni dei loro insediamento e permanenza in situ, nonché tutte le vicende, pure contenziose, inerenti alla bonifica che le hanno in varia guisa viste coinvolte;

- pertanto, non s'appalesa ragionevole il dubbio, non ingenerato dagli atti impugnati, ma sorto nelle Società appellanti sulla natura non prescrittiva e non lesiva della volizione della conferenza di porre gli oneri di bonifica della falda a tutte e ciascuna impresa operante nel SIN -ognuna per la parte di sua spettanza-, volizione, questa, con ogni evidenza da loro trascurata o sottovalutata;

- ancor meno convincente è l'individuazione della causa di tale dubbio nella peculiare complessità del procedimento in conferenza di servizi decisoria, la cui disciplina, ancorché oggetto di numerosi aggiustamenti, era al tempo dei fatti di causa racchiusa nell'art. 14-ter, comma 6-bis, I per., 2 parte della L. n. 241 del 1990, in virtù del quale la P.A. procedente, "... valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede, adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento che sostituisce a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti...", cosa, questa, accaduta grazie al decreto n. 1208/2011, recante la diramazione del relativo verbale e le prescrizioni colà contenute;

- quindi immune da vizi logici o di rappresentazione s'appalesa l'impugnata sentenza, laddove si riferì a quei minimi oneri di consapevolezza, esigibili da primarie imprese del settore e proprietarie di beni all'interno del SIN, sulle regole di base che governano l'"... impugnazione degli atti amministrativi, specie quando si tratta, come nel caso di specie, di provvedimenti di particolare rilievo con cui l'Amministrazione incide sulla posizione giuridica dello stesso..." destinatario;

- in disparte poi l'obbligo per l'interprete di valutare la legittimità degli atti impugnati secondo le norme vigenti al momento della loro emanazione, è argomento fallace quello delle appellanti, in virtù del quale il predetto loro convincimento sulla non definitività del provvedimento impugnato si sia rafforzato alla luce dei documenti da loro depositati in vista dell'odierna udienza pubblica (docc. nn. 3 e 4 in appello), in particolare la mancata approvazione del progetto esecutivo comunale per la bonifica, da parte della Regione e della Provincia di Milano;

- invero, il giudizio d'incongruità di tal progetto, reso con riguardo agli obiettivi di bonifica di detto SIN, nulla aggiunge o toglie alla tardività del ricorso di primo grado, al più potendo estinguere, ove mai si revocasse in dubbio la necessità della bonifica nella dimensione stabilita dalla conferenza del 3 marzo 2001, l'onere tuttora gravante sulle appellanti, risultato, questo, simile a quel che potrebbe accadere nel caso di N. perimetrazione del SIN, che vedrebbe escluse, tra le altre, anche le aree delle appellanti medesime;

- in definitiva, fu corretta la statuizione del TAR sulla tardività dell'impugnazione del citato decreto n. 1208/2011 e sulla conseguente inammissibilità del gravame contro gli atti attuativi, fuori dai vizi loro propri, senz'uopo d'ulteriore disamina dei motivi assorbiti e qui riproposti;

- nondimeno, quantunque sia vero che le appellanti indichino, quale soggetto obbligato ad eseguire gli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale, colui il quale cagioni, pure in maniera accidentale, il superamento dei limiti stabiliti dal DM 25 ottobre 1999 n. 471 o determini un pericolo concreto ed attuale di superamento di questi, reputa opportuno il Collegio ricordare, anche per ben definire la sostanza degli oneri di bonifica in capo alle appellanti, gli approdi della giurisprudenza di questo Consiglio sul punto (cfr., da ultimo, Cons. St., VI, 25 gennaio 2018 n. 502; id., V, 10 ottobre 2018 n. 5604);

- al riguardo, Il proprietario del terreno sul quale sono depositate sostanze inquinanti è tenuto solo ad adottare le misure di prevenzione, mentre gli interventi di riparazione, messa in sicurezza, bonifica e ripristino gravano sul responsabile della contaminazione, ossia a chi sia imputabile l'inquinamento, sebbene la P.A. competente, qualora il responsabile non sia individuabile o non provveda gli interventi necessari, possa adottare d'ufficio gli accorgimenti necessari e, se del caso, recuperare le spese sostenute attraverso un'azione di rivalsa verso il proprietario, il quale risponde nei soli limiti del valore di mercato del sito dopo l'esecuzione degli interventi medesimi;

- per vero ed ai sensi dell'art. 245, comma 2 del D.Lgs. n. 152 del 2006, la messa in sicurezza di un sito inquinato non ha di per sé natura sanzionatoria, ma costituisce una misura di prevenzione dei danni e rientra, pertanto, nel genus delle precauzioni, in una col principio di precauzione vero e proprio e col principio dell'azione preventiva, che gravano sul proprietario o detentore del sito da cui possano scaturire i danni all'ambiente e, non avendo finalità ripristinatoria, non presuppone l'accertamento del dolo o della colpa in capo al proprietario (cfr. così Cons. St., V, 14 aprile 2016 n. 1509; id., VI, 5 ottobre 2016 n. 4119; id., V, 8 marzo 2017 n. 1089);

- in questi termini e nei limiti dell'utiliter coeptum si può predicare l'onere delle appellanti, in base ai principi solidaristici dell'utilità sociale della proprietà e dell'attività d'impresa, onde l'appello va così rigettato, sebbene giusti motivi suggeriscano la compensazione integrale, tra tutte le parti, delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. VI), definitivamente pronunciando sull'appello (ricorso NRG 1512/2013 in epigrafe), lo respinge.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 18 dicembre 2018, con l'intervento dei sigg. Magistrati:

Sergio Santoro, Presidente

Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Marco Buricelli, Consigliere

Giordano Lamberti, Consigliere
Avv. Antonino Sugamele

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