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Sentenza

Persona offesa dal reato - Enti e associazioni rappresentative di interessi lesi...
Persona offesa dal reato - Enti e associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato
Cassazione penale, sez. VI, 20/10/2016, (ud. 20/10/2016, dep.24/01/2017),  n. 3606
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE SESTA PENALE                         
              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
Dott. PAOLONI  Giacomo         -  Presidente   -                     
Dott. VILLONI  Orlando         -  Consigliere  -                     
Dott. DI SALVO Emanuele        -  Consigliere  -                     
Dott. SCALIA   Laura           -  Consigliere  -                     
Dott. CORBO    Antonio    -  rel. Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     SENTENZA                                        
sul ricorso proposto da: 
1.            B.U., nato a (OMISSIS); 
2.             F.G., nato a (OMISSIS); 
3.            P.A., nato a (OMISSIS); 
4.             A.G., nato a (OMISSIS); 
5.              M.G., nato a (OMISSIS); 
6.             S.A., nato a (OMISSIS); 
nonchè dalle parti civili: 
1.           R.P., nato a (OMISSIS); 
2.                 C.M., nata a (OMISSIS); 
3.       MA.Lu., nato a (OMISSIS); 
4.          ME.Gi., nato a (OMISSIS); 
5.              G.G., nato a (OMISSIS); 
6.           O.E., nata a (OMISSIS); 
7.            GI.Do., nato a (OMISSIS); 
8.              CA.Gi., nato a (OMISSIS); 
9.          FR.Di.Ma., nato a (OMISSIS); 
10.                CE.Al., nata a (OMISSIS); 
11.                L.P.D., nato a (OMISSIS); 
12.              m.L.M., nata a (OMISSIS); 
13.          AG.Ro., nato a (OMISSIS); 
14.           BU.Vi., nato a (OMISSIS); 
15.       b.A., nata a (OMISSIS); 
16. W.W.F. Italia, Associazione italiana per il World Wide Fund for 
Nature; 
nei confronti di: 
           B.U., nato a (OMISSIS); 
            F.G., nato a (OMISSIS); 
           P.A., nato a (OMISSIS); 
            A.G., nato a (OMISSIS); 
             M.G., nato a (OMISSIS); 
            S.A., nato a (OMISSIS) 
          M.S., nato a (OMISSIS); 
              g.G., nato a (OMISSIS); 
          c.C., nato a (OMISSIS); 
COMUNE di MESSINA in persona del legale rappresentante pro tempore; 
avverso la sentenza del 26/05/2015 della Corte d'appello di Messina; 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Antonio Corbo; 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore 
generale Dr. Marinelli Felicetta, che ha concluso chiedendo la 
dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi di            B.U. e 
della parte civile W.W.F. Italia, il rigetto dei ricorsi di          
   F.G.,            P.A.,             A.G.,              M.G. e      
       S.A., la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi 
incidentali di              M.G. e             S.A., e 
l'annullamento con rinvio alla Corte d'appello di Messina 
limitatamente alla revoca delle statuizioni civili nei confronti 
degli imputati, ed escluso il Comune di Messina quale responsabile 
civile; 
uditi, per le parti civili, gli avvocati Aurora Francesca Notarianni, 
quale difensore del W.W.F., e Valter Militi, quale difensore di      
 Ma.Lu.,          Me.Gi.,              G.G.,           O.E.,         
   Gi.Do.,              Ca.Gi.,          Fr.Di.Ma.,                
Ce.Al.,            Si.Co. e             St.Be. (il        Si. e la   
    St. parti civili non ricorrenti), nonchè in sostituzione 
dell'avvocato Antonietta Ioculano, difensore di           R.P., 
dell'avvocato Antonino Mongiovì, difensore di                 C.M., 
dell'avvocato Ignazio Scimone, difensore di                L.P.D. e  
           m.L.M., dell'avvocato Salvatore Pagano, difensore di      
    Ag.Ro., e dell'avvocato Daniela Garufi, difensore di           
Bu.Vi. e       b.A., che hanno concluso per l'accoglimento dei 
ricorsi da essi presentati; 
uditi, per gli imputati, l'avvocato Giovambattista Freni, quale 
difensore di fiducia di              M.G. e             S.A., 
l'avvocato Tommaso Calderone, quale difensore di fiducia di          
    A.S., l'avvocato Liborio Cataliotti, quale difensore di fiducia 
di             F.G., l'avvocato Enrico Ricevuto, quale difensore di 
fiducia di            B.U., e l'avvocato Tommaso Autru Ryolo, quale 
difensore di fiducia di            P.A. e           M.S., che hanno 
chiesto l'accoglimento dei ricorsi da essi proposti e 
l'inammissibilità dei ricorsi presentati dalle parti civili, 
nonchè quest'ultimo, in subordine, l'annullamento senza rinvio 
della sentenza impugnata per essere il reato estinto per 
prescrizione. 
                 


Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa il 26 maggio 2015, la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Messina, per quanto di interesse in questa sede, ha: 1) confermato la condanna di B.U., F.G., P.A., A.G., M.G. e S.A. per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, commesso in concorso tra loro, e precisamente il F., il B. ed il P. con riferimento all'imputazione di cui al capo D, e l' A., il M. e lo S. con riferimento all'imputazione di cui al capo E, riformando solo per questi ultimi tre la decisione di primo grado in punto di trattamento sanzionatorio, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche; b) confermato la confisca di aree su cui insistono manufatti edilizi ed un cantiere e l'ordine di acquisizione gratuita delle stesse al patrimonio del Comune di Messina; c) assolto M.S. dalla imputazione di corruzione, ascritta al medesimo al capo E, per non aver commesso il fatto; d) revocato le statuizioni civili disposte in prima cura in favore delle parti civili R.P., C.M., Ma.Lu., Me.Gi., G.G., O.E., Gi.Do., Ca.Gi., Fr.Di.Ma., Ce.Al., L.P.D., m.L.M., Ag.Ro., Bu.Vi., b.A. e W.W.F. Italia.

Gli imputati sono stati condannati per aver concluso e dato esecuzione ad un accordo corruttivo avente ad oggetto il perfezionamento di un complesso procedimento amministrativo culminato con il rilascio della concessione edilizia in favore della S.A.M.M. Costruzioni s.r.l. di un complesso residenziale costituito da otto corpi di fabbrica pluripiano, in cambio della promessa ai pubblici ufficiali ed ai mediatori tra questi ed i privati di vari appartamenti nonchè della somma di Euro 1.550.000, materialmente corrisposta per un importo superiore a 280.000 Euro. In particolare, secondo le sentenze di merito, il F. aveva svolto la funzione di mediatore tra i privati interessati, segnatamente gli imprenditori A., M.G. e S., quali amministratori e soci della S.A.M.M. Costruzioni s.r.l., ed i pubblici ufficiali, segnatamente il B., che nelle more dell'iter procedimentale aveva svolto la funzione di Vice Presidente e poi di Presidente del Consiglio Comunale di Messina, ed il P., funzionario tecnico in servizio presso l'ufficio Area coordinamento politica del territorio del Comune di Messina, sia affinchè questi ultimi intervenissero nel corso procedimento per assicurarne l'esito positivo e, quindi, il rilascio della concessione ad edificare, sia per garantire la remunerazione dei medesimi in funzione dell'attività svolta.

2. Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, per quanto attiene agli imputati, l'avvocato Liborio Cataliotti, quale difensore di fiducia del F., l'avvocato Enrico Ricevuto, quale difensore di fiducia del B., l'avvocato Tommaso Autru Ryolo, quale difensore di fiducia del P., l'avvocato Tommaso Calderone, quale difensore di fiducia dell' A., l'avvocato Giovambattista Freni, quale difensore di fiducia di M.G. e dello S..

Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe, per quanto attiene alle parti civili, l'avvocato Giuseppe Antonietta Ioculano, quale difensore di fiducia del R., l'avvocato Antonino Mongiovì, quale difensore di fiducia della C., l'avvocato Valter Militi, quale difensore di fiducia del Ma., del Me., dello G., dell' O., del Gi., del Ca., del Fr., e della Ce., l'avvocato Salvatore Pagano, quale difensore di fiducia dell' Ag., l'avvocato Daniela Garufi, quale difensore di fiducia del Bu. e della B., l'avvocato Aurora Francesca Carla Notarianni, quale difensore di fiducia del W.W.F.

Ha presentato memoria l'avvocato Laura Autru Ryolo nell'interesse dell'imputato M.S..

3. Il ricorso proposto dall'avvocato Cataliotti, nell'interesse dell'imputato F., è articolato in sei motivi.

3.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 2, 319, 157 e 161 c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla mancata dichiarazione di prescrizione del reato.

Si deduce che la prescrizione deve ritenersi decorsa in epoca antecedente alla sentenza di appello, siccome i fatti sono stati commessi non oltre il (OMISSIS), e non sono stati compiuti atti sospensivi del corso della prescrizione: invero, stante il principio di irretroattività delle disposizioni penali sfavorevoli, la sanzione prevista per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, all'epoca dei fatti, era pari, nel massimo, a cinque anni di reclusione, sicchè il termine di prescrizione è pari a sei anni, cui può essere aggiunto solo un ulteriore periodo di un anno e mezzo per il verificarsi di atti interruttivi.

3.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 11 e 12 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento al mancato accoglimento dell'eccezione dell'incompetenza per territorio per ragioni di connessione.

Si deduce che un ipotizzato concorrente per il reato di falso ideologico contestato come commesso nel corso della procedura edilizia su istigazione del B., e per il quale si è proceduto separatamente, tale M.M., all'epoca dei fatti direttore del Dipartimento politica del territorio del Comune di Messina, aveva appreso dell'esistenza di indagini in corso a suo carico (in particolare, attività di intercettazione telefonica) da tale C.M., il quale aveva ottenuto la notizia dal Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Messina, ed era stato giudicato dal Tribunale di Reggio Calabria per i reati di rivelazione di segreto di ufficio (art. 326 c.p.) e di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), in applicazione del combinato disposto dell'art. 11 c.p.p. e art. 12 c.p.p., n. 1. Si osserva, poi, che, secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la configurabilità della connessione teleologica di cui all'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), non richiede che vi sia identità tra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo, in quanto non costituisce eccezione al principio del giudice naturale precostituito per legge (si citano Sez. 6, n. 37014 del 23/09/2010, Della Giovampaola, Rv. 248746, e Sez. 3, n. 12838 del 16/01/2013, Erhan, Rv. 257164, ma anche Corte cost., sent. n. 21 del 2013), e che, in applicazione di tale regola, deve ritenersi operare un meccanismo di connessione a "catena" fra le imputazioni. Si rileva, quindi, che nel caso di specie, reato più grave tra quelli contestati è quello di falso ideologico, addebitato anche al M., posto che il reato associativo ex art. 416 c.p. (contestato al capo A della rubrica) è stato oggetto già in fase di indagini di una pronuncia della Corte di cassazione, la quale ha escluso la sussistenza in relazione ad esso dei gravi indizi di colpevolezza, e che la rivelazione dell'esistenza di intercettazioni è sicuramente condotta volta ad occultare il reato in relazione al quale sono eseguite le precisate indagini tecniche.

3.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 110 e 319 c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla qualificazione della condotta del F. avendo riguardo all'art. 319 c.p..

Si deduce che il F. non era pubblico ufficiale e, secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, ha svolto le funzioni di mediatore tra i privati ed i pubblici ufficiali, anche incassando i compensi illeciti e distribuendoli ai pubblici ufficiali. Di conseguenza, la sua condotta era sussumibile, in astratto, nella fattispecie di cui all'art. 321 c.p. e non in quella di cui all'art. 319 c.p..

3.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 603 e 125 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello.

Si deduce che la Corte d'appello non ha ammesso l'esame di tre testimoni, le cui deposizioni avrebbero evidenziato che il F. aveva conosciuto il B. solo alla fine del 2003 e l' A. solo nell'agosto del 2004, quindi solo dopo che il procedimento amministrativo relativo alla variante del P.R.G. di Messina si era concluso, ed aveva chiesto un prestito nell'interesse del B. per aiutare questi ad affrontare le spese necessarie per la campagna elettorale comunale del novembre 2005. L'assunzione di tali prove dichiarative era assolutamente necessaria, poichè l'atto che si assume contrario ai doveri di ufficio, la redazione di una nota asseritamente falsa dell'Assessorato regionale per il territorio e l'ambiente (A.R.T.A.) del 31 marzo 2004, è stato formato da funzionari regionali cui non è mai stata contestata la corruzione, e perchè ancora dopo la redazione di tale nota l'imprenditore parte dell'affare era Giuseppe D'Andrea, nei confronti del quale non risultano mai elevate imputazioni. La Corte d'appello, nel rigettare le richiesta istruttorie in questione, si è limitata apoditticamente a rilevare che le stesse non erano assolutamente necessarie ai fini della decisione.

3.5. Nel quinto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 516, 519, 520, 521 e 522 c.p.p. e art. 125 c.p.p., comma 3, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento alla mancata concessione del termine a difesa e della possibilità di chiedere nuove prove dopo la modifica dell'imputazione nella parte finale del giudizio di primo grado.

Si deduce che il Pubblico ministero, nel corso del dibattimento davanti al Tribunale, aveva modificato l'imputazione: questa, infatti, mentre nell'iniziale formulazione indicava come atti oggetto di mercimonio le note dal contenuto asseritamente mendace redatte, rispettivamente, il 10 febbraio 2004 dall'ufficio tecnico del Comune di Messina ed indirizzata all'A.R.T.A. e il 31 marzo 2004 dall'A.R.T.A. in risposta a quella dell'ufficio tecnico, nel testo "rivisitato" menzionava come oggetto di compravendita "la complessiva attività amministrativa". Si rileva, poi, che le sentenze di primo e secondo grado hanno accolto questa nuova impostazione, ritenendo frutto di corruzione tutta l'attività amministrativa dei pubblici ufficiali imputati. Si osserva, infine, che la Corte di appello si è limitata ad osservare che la modifica non avrebbe precluso la possibilità di difesa degli imputati.

3.6. Nel sesto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 319 e 346-bis c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla sussunzione del fatto nella fattispecie di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.

Si deduce che il fatto non è qualificabile in termini di corruzione perchè i funzionari regionali in servizio presso l'A.R.T.A. cui è imputabile la nota dal contenuto asseritamente mendace non rivestono il ruolo di corrotti, perchè il B. e il P. non hanno esercitato funzioni pubblicistiche in relazione all'iter procedimentale diretto al rilascio della concessione edilizia, e perchè l'iter procedimentale è stato in ogni caso corretto.

Si era già denunciato nell'atto di appello e nei motivi aggiunti che, come riconosciuto dai giudici di primo grado, la nota dell'ufficio tecnico del Comune di Messina del 10 febbraio 2004 non può essere ritenuta falsa, perchè consiste in una mera richiesta di chiarimenti, e che, quindi, l'unico atto qualificabile come falso è la nota dell'A.R.T.A. del 31 marzo 2004; si era inoltre aggiunto che l'attività dei funzionari comunali, tra i quali il P., non era consistita nell'esercizio di alcuna pubblica funzione in relazione a quest'atto, perchè essi non avevano poteri di ingerenza rispetto alla formazione di questo, e perchè rispetto ad esso la nota di richiesta è atto "neutro", e che le eventuali "pressioni" esercitate dal B. sui funzionari regionali sono condotte al più riconducibili alla fattispecie di traffico di influenze illecite.

Sempre nell'atto di appello e nei motivi aggiunti, poi, si era evidenziato che l'unico atto imputabile al B. come pubblico ufficiale nella procedura è quello che attiene alla presentazione e votazione dell'emendamento n. 5 alla variante del P.R.G., approvato dal Consiglio comunale, e che, però, tale attività risale al (OMISSIS), mentre l'azione corruttiva dell' A. e degli imprenditori a lui vicini è iniziata il (OMISSIS), ossia quando gli atti amministrativi da porre in essere erano tutti atti dovuti. Si era rappresentato, inoltre, che l'emendamento n. 5 è sicuramente regolare, come sicuramente regolare è l'intera procedura amministrativa perchè: a) il terreno interessato dalla pratica edilizia, in origine di proprietà dei fratelli C. e sito in località (OMISSIS), era stato tenuto fuori dalle zone ad alta vocazione edilizia dalla Delib. comunale del 1998 che aveva adottato il progetto di variante del P.R.G.; b) contro tale decisione era stata presentata l'osservazione n. 231, che, valutata "non meritevole di accoglimento" dall'Ufficio tecnico comunale (U.T.C.), e votata sfavorevolmente dalla 3 Commissione consiliare, era stata poi accolta dal Consiglio comunale con le Delib. dell'8 agosto 2000 e del 18 settembre 2000, adottate con ampia maggioranza e con il concorso del voto del B.; c) il Consiglio Regionale dell'Urbanistica (C.R.U.) in data 17 gennaio 2002 (voto n. 552) si esprimeva favorevolmente ad eccezione che per quelle zone per le quali il Genio civile aveva evidenziato problemi di natura geomorfologica; d) i fratelli C., a mezzo dell'avvocato F., avevano prodotto documentazione per dimostrare che i problemi di natura geomorfologica evidenziati dal Genio Civile attenevano non a tutta l'area di loro proprietà, ma solo a quella "a terrazze"; e) nel corso della seduta del (OMISSIS), il Consiglio comunale di Messina aveva approvato, tra l'altro, l'emendamento n. 5, proposto dal B. in coerenza con i voti dati nelle assemblee consiliari del 2000, con il quale si controdeduceva alle indicazioni del C.R.U, e si confermavano le precedenti scelte, osservando che "trattasi di porzione di territorio comunale con caratteristiche tecniche ed urbanistiche idonee a tali destinazioni"; f) il Dipartimento regionale urbanistica aveva trasmesso la Delib. consiliare appena indicata al C.R.U. per le sue determinazioni, in particolare con riferimento ai profili geomorfologici, e questo organismo aveva ritenuto l'emendamento n. 5 assentibile "ad eccezione della parte a configurazione "a terrazzo"", restando così aperta la questione di quali fossero le conseguenze tra l'accoglimento di tale emendamento e la delibera sull'osservazione n. 231; g) alla successiva richiesta di chiarimenti del Dipartimento politiche del territorio del Comune di Messina, il Dipartimento regionale urbanistica sottoponeva al C.R.U. una nota nella quale si indicava che talune osservazioni fra cui "la 231 non si accolgono in conformità a quanto espresso dall'UTC" ed il C.R.U. deliberava condividendo integralmente tale nota in data 25 giugno 2003; h) i fratelli C., a questo punto, attraverso l'avvocato F., impugnavano con ricorso straordinario al Presidente della regione Siciliana tutti gli atti a loro pregiudizievoli e chiedevano all'Assessorato regionale territorio e ambiente (A.R.T.A.) se il parere dell'U.T.C. espresso sull'emendamento n. 5 fosse prevalente rispetto al precedente parere espresso sull'emendamento n. 231; i) il Dipartimento politiche del territorio del Comune di Messina, in data 10 febbraio 2004, dando atto della istanza presentata dall'avvocato F. per conto dei fratelli C., chiedeva chiarimenti all'A.R.T.A. sui rapporti tra i pareri espressi sull'emendamento n. 5 e sull'osservazione n. 231; I) l'A.R.T.A. con la nota del 31 marzo 2004, n. 19.471, dopo aver ricapitolato il susseguirsi delle varie tappe procedimentali, precisava che "(...) considerato che l'A.R.T.A. ha accolto, salvo per gli aspetti strettamente geologici, l'emendamento n. 5 della Delib. consiliare n. 9/C del 18.4.2002 relativa alle controdeduzioni al voto C.R.U. n. 552/2002, l'osservazione n. 231 deve ritenersi accolta, in conformità alla decisione del Consiglio Comunale assunta con la citata deliberazione n. 65/C (del 18 settembre 2000)".

Si censura, infine, che la sentenza di appello ha eluso queste censure e queste argomentazioni, limitandosi a rilevare che il F. avrebbe svolto il ruolo di mediatore e di distributore di tangenti e che il P. ed il B. avrebbero favorito il positivo andamento della pratica avvalendosi del loro ruolo istituzionale, e, quindi, agendo come pubblici ufficiali.

4. Il ricorso proposto dall'avvocato Ricevuto, nell'interesse dell'imputato B., è articolato in cinque motivi.

4.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 516, 519, 520, 521 e 522 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), in riferimento alla mancata concessione del termine a difesa e della possibilità di chiedere nuove prove dopo la modifica dell'imputazione nella parte finale del giudizio di primo grado.

Si deduce che, in origine, al B. si contestava di aver agito "(...) in particolare inducendo i funzionari regionali L., g. e c. ad emanare la nota n. prot. 19.471 del 31.03.2004, di cui al capo c), così compiendo, unitamente ai suddetti pubblici ufficiali, atti contrari ai doveri di ufficio (art. 479 c.p.)", e che, invece, successivamente alla modifica l'imputazione attiene all'aver agito "(...) in particolare inducendo i funzionari regionali L., g. e c. ad emanare la nota n. prot. 19.471 del 31.03.2004, di cui al capo c), così compiendo un'attività complessivamente contraria ai doveri di ufficio anche perchè risultato di un accordo corruttivo". Si rileva che la modifica è sostanziale, perchè passa dal riferimento ad atti specificamente indicati al riferimento ad una attività complessiva articolata in un arco temporale non definito, e che la mancata concessione dei termini a difesa e delle facoltà connesse è tanto più grave se si considera che la modifica è avvenuta dopo le dichiarazioni un udienza del B..

4.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all'art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) e art. 319 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla affermazione della responsabilità dell'imputato per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.

Si deduce che l'iter amministrativo che ha portato al rilascio della concessione n. 36 del 2006 è stato perfettamente regolare. Si osserva, a tal proposito, che: a) l'inserimento dell'area (OMISSIS) nella zona destinata all'attività edificatoria fu effetto di una decisione del Commissario regionale dott. F. nel corso del 1997, approvata dal Consiglio comunale in data 27 marzo 1998; b) la variante del P.R.G. fu poi approvata con Delib. 6 aprile 1998, con amplissima maggioranza e con il concorso del B., il quale svolse le funzioni di relatore di maggioranza; c) acquisito il parere degli organi regionali, la variante, per la zona (OMISSIS), fu definitivamente approvata il 18 aprile 2002, unitamente all'emendamento n. 5, votato all'unanimità; d) nelle more del procedimento erano state presentate numerose osservazioni, tra le quali la n. 231, avente ad oggetto l'edificabilità dell'area di proprietà dei fratelli C., e che su questa, come sulle altre, egli aveva espresso il voto favorevole, differenziandosi su tale questione dal parere dell'Ufficio tecnico comunale, il quale si era pronunciato con un parere negativo, poi successivamente condiviso dagli organi regionali; e) le vicende relative all'osservazione n. 231 erano state però superate, perchè con la successiva Delib. 18 aprile 2002, avente ad oggetto anche l'emendamento n. 5, il Consiglio comunale aveva attribuito destinazione edificatoria a tutta l'area (OMISSIS), e su tale provvedimento il Comitato regionale urbanistico (C.R.U.) non aveva formulato osservazioni salvo ad inibire interventi sulla zona n. 19 con configurazione "a terrazzo", come da Decreto Dirigenziale Regionale n. 686 del 2002; f) la nota dell'Assessorato regionale territorio e ambiente (A.R.T.A.) n. prot. 19.471 del 31.03.2004 aveva avuto una funzione di mera chiarificazione, ma non certo di atto normativo. Si conclude, pertanto, che anche a volere ritenere provata una condotta sollecitatoria del B. nei confronti dei funzionari regionali per l'adozione della nota n. 19.471 del 31.03.2004, questa condotta sarebbe comunque volta all'adozione di un atto legittimo.

4.3. Nel terzo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento alla affermazione della responsabilità dell'imputato per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.

Si deduce che le condotte ascritte al B. di avere agito nell'esercizio del poteri discrezionali spettantigli quale consigliere comunale prima per l'accoglimento dell'osservazione n. 231 (nel 2000) e poi per l'approvazione dell'emendamento n. 5 (nel 2002) sono tutte collocate in un'epoca in cui non erano nemmeno individuabili i presunti corruttori, nè risulta fosse stato concordato alcun corrispettivo: in quel momento l'imprenditore coinvolto nell'attività edificatoria era tale D.G., il quale aveva stipulato con i proprietari dell'area una scrittura privata in data 31 luglio 2001, e che non risulta essere mai stato indagato nella vicenda; l' A. è subentrato nella vicenda solo il 16 dicembre 2004, allorchè stipulò un contratto con i fratelli C.. Di conseguenza, l'attività svolta dal B. non poteva in alcun modo essere esecutiva di un accordo illecito. D'altro canto, l'addebitabilità al B. di una condotta corruttiva è logicamente in contrasto con la circostanza che il medesimo, a differenza di altri coimputati, non ha ricevuto alcun appartamento e solo modeste somme, a lui elargite a titolo di aiuto in un momento di difficoltà economica: il F. ha spiegato la coincidenza temporale dei propri prestiti al B. con i versamenti ricevuti dall' A. in ragione della conseguente sua maggiore disponibilità finanziaria.

4.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all'art. 319 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla affermazione della responsabilità dell'imputato per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.

Si deduce che la sentenza addebita ad A. ed agli altri imprenditori un'attività di adempimento di un accordo corruttivo stipulato in precedenza, ma omette di individuare se e quando quell'accordo corruttivo fu stipulato. In primo luogo, nessuno, nemmeno il F. od i fratelli C., risulta aver contattato il B. allorchè questi assunse, nel 2000, le sue determinazioni per l'accoglimento dell'osservazione n. 231, e, poi, nel 2002, per l'approvazione dell'emendamento n. 5. In secondo luogo, l' A. ed i suoi soci intervennero nell'affare edilizio diversi mesi dopo il presunto interessamento del B. all'iter della pratica in sede regionale, poi sfociato nella nota dell'A.R.T.A. n. 19.471 del 31.03.2004. In terzo luogo, il B. non fu rieletto nelle elezioni comunali del 23 novembre 2005, sicchè le condotte successive a questa data sono tutte condotte di un privato cittadino.

4.5. Nel quinto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 62-bis e 133 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

Si deduce che il trattamento sanzionatorio è stato determinato in prossimità del massimo edittale e con evidente sperequazione rispetto ai coimputati presunti corruttori, senza considerare che il B. avrebbe, al più, contribuito con un modesto apporto e percepito un modesto compenso, nettamente inferiore rispetto a quello lucrato dai pretesi concorrenti.

5. Il ricorso proposto dall'avvocato Tommaso Autru Ryolo, nell'interesse dell'imputato P., è articolato in otto motivi.

5.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo agli artt. 516 e 522 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento alla mancata concessione del termine a difesa e della possibilità di chiedere nuove prove dopo la modifica dell'imputazione nella parte finale del giudizio di primo grado.

Si deduce che il Tribunale, allorchè il Pubblico ministero ha modificato l'imputazione facendo riferimento non più a singoli atti ma a "tutta l'attività amministrativa complessiva da ritenersi illecita in quanto frutto di corruzione", ha rigettato la richiesta del difensore di informare il P., tra l'altro assente, di domandare termine a difesa anche per articolare istanze istruttorie ed eventualmente di accesso ai riti alternativi. Non può discutersi che la modifica apportata dal Pubblico ministero abbia determinato una diversità del fatto in contestazione, perchè ha trasformato l'accusa di corruzione con riferimento a singoli atti in accusa di corruzione per la funzione e, quindi, la mancata concessione del termine a difesa ha determinato una nullità a norma dell'art. 522 c.p.p..

5.2. Nel secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento alla ritenuta responsabilità del P. anche per il concorso nel falso ideologico contestato avendo riguardo alla nota dell'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente (A.R.T.A.) del 31 marzo 2004.

Si deduce che la Corte d'appello si è limitata a confermare la sentenza di prescrizione pronunciata dal Tribunale, sebbene lo stesso avesse ricostruito il falso ideologico in questione addebitandone la responsabilità ai funzionari regionali, ed al F. ed al B. quali determinatori, senza nulla precisare a carico del P., e senza rispondere agli specifici motivi di gravame. Si aggiunge che nessun significato è attribuibile alla collaborazione prestata dal P. al F. per la presentazione del ricorso gerarchico (in realtà si tratta del ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia), perchè tale attività è stata svolta privatamente e non ha collegamenti nè con la nota dell'A.R.T.A. del 31 marzo 2004, nè con il rilascio della concessione: il ricorso gerarchico (rectius: straordinario), poi rinunciato, intendeva dimostrare la vocazione edificatoria del terreno, mentre la nota dei funzionari regionali atteneva all'avvenuta approvazione dell'emendamento n. 5 ed alle conseguenze di tale atto.

5.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all'art. 319 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla affermazione della responsabilità dell'imputato per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.

Si deduce che le condotte concretamente individuate attengono alla predisposizione dei calcoli per la redazione al ricorso straordinario ed alle sollecitazioni rivolte ai colleghi per la sollecita evasione della pratica di concessione edilizia al fine di consentirne il rilascio anche mediante una trattazione indebitamente anticipata. Si rileva che l'attività di predisposizione dei calcoli utilizzati per la redazione del ricorso straordinario è un'attività svolta a titolo amicale nei confronti dell'avvocato F., non è stata mai oggetto di contestazione, e non ha influito nè sulle determinazioni dei funzionari della regione allorchè emanarono la nota del 31 marzo 2004, nè sul rilascio della concessione. Si aggiunge che le sollecitazioni rivolte ai colleghi si spiegano perchè, sebbene il Comune di Messina prevedesse 30 giorni per il rilascio della concessione edilizia dopo il parere della Commissione edilizia, nella specie passarono più di dieci mesi (si andò dal 3 maggio 2005 al 6 marzo 2006); inoltre, da un lato, il rilascio della concessione era atto dovuto e non era riferibile specificamente al P., e, dall'altro, non vi è prova in ordine al ritardo o alla posposizione di altre pratiche. Si osserva, ancora, che la dazione al P. del denaro e di due appartamenti trova la sua giustificazione nell'attività privatistica svolta dal medesimo in favore dei fratelli C., amici di famiglia: il P., infatti, aveva indirizzato i C. dal F., quale legale, ed aveva poi supportato quest'ultimo nella predisposizione del ricorso straordinario nella redazione dei calcoli necessari. Da ultimo, restano "inesplorati" il momento di stipulazione dell'accordo corruttivo e l'identità dei partecipi allo stesso, dato che D.G. riferisce di un accordo intervenuto con il solo F. ed in epoca di molto precedente.

5.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge, con riguardo all'art. 521 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento alla condanna per fatto diverso da quello emerso nell'istruttoria.

Si deduce che i giudici di appello hanno ricostruito il fatto sulla base delle dichiarazioni del D. rese davanti ad essi a norma dell'art. 210 c.p.p., dopo che le originarie dichiarazioni fornite a dibattimento quale teste erano state dichiarate inutilizzabili dal Tribunale: invero, sulla base di queste dichiarazioni, emerge che il patto corruttivo, se vi fu, intervenne con il D., e, quindi, con modalità inconciliabili con quelle descritte nel capo di imputazione.

5.5. Nel quinto (erroneamente indicato anch'esso come quarto) motivo, si lamenta violazione di legge, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla mancata dichiarazione di prescrizione per il reato di corruzione.

Si deduce che non vi è prova che il P. abbia ricevuto dazioni dopo il maggio 2006, perchè la Corte d'appello, nel ricostruire le dazioni, ha indicato come ultima data di erogazione di somme al F. perchè ne beneficiasse il P., o anche il P., quella del 12 aprile 2006, mentre non è chiara la destinazione dell'ulteriore somma ricevuta dal F. nell'aprile 2007. Di conseguenza, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto dichiarare la prescrizione del reato di corruzione nei confronti del P..

5.6. Nel sesto motivo, si lamenta violazione di legge, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento al mancato rilievo dell'incompetenza territoriale per connessione.

La questione è identica a quella formulata nel secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse del coimputato F..

Si aggiunge, peraltro, che la connessione della posizione del M. con quelle degli imputati nel presente processo è evidenziata dal fatto che il M. sia nel corso delle indagini, sia nel dibattimento è stato esaminato a norma dell'art. 210 c.p.p., e che è irrilevante il decreto di archiviazione, in quanto emesso solo nel 2010, ossia dopo che le difese avevano sollevato l'eccezione di incompetenza territoriale per connessione.

5.7. Nel settimo motivo, si adduce violazione di legge, con riguardo agli artt. 318, 319 e 346-bis c.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla affermazione della responsabilità dell'imputato per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio invece che quello di corruzione per atto dell'ufficio o per traffico di influenze illecite.

Si deduce che non sono stati individuati atti illegittimi da ascrivere al P. o agli altri pubblici ufficiali contattati dall'imputato, e che, anzi, i comportamenti diretti al condizionamento dell'attività amministrativa posta in essere da questi ultimi costituirebbe il classico sfruttamento di relazioni con i pubblici ufficiali, oggi sanzionato dall'art. 346-bis c.p..

5.8. Nell'ottavo (erroneamente indicato anch'esso come settimo) motivo, si lamenta violazione di legge, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio.

Si deduce che l'entità della pena, pur se determinata in prossimità del massimo edittale, non è motivata, come non motivato è il diniego delle circostanze attenuanti generiche. Inoltre, evidente è la sproporzione tra la sanzione inflitta al P. e quella irrogata ai privati, nè può essere valorizzato l'importo delle somme percepite, pari a circa 130.000 Euro, in sè non elevatissimo.

Ancora, non si è tenuto conto che il P. ha ammesso ha sin da subito ammesso il fatto storico della dazione, ha svolto un'attività marginale ed è persona incensurata.

6. Il ricorso proposto dall'avvocato Calderone, nell'interesse dell'imputato A., è articolato in otto motivi.

6.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento al mancato rilievo dell'incompetenza territoriale per connessione.

La questione è identica a quella formulata nel secondo motivo del ricorso proposto nell'interesse del coimputato F. e nel sesto motivo del ricorso proposto nell'interesse del coimputato P..

6.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge avendo riguardo all'art. 178 c.p.p. e ss. e art. 516 c.p.p. e ss., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in riferimento alla mancata concessione del termine a difesa.

Si deduce che la Procura della Repubblica, all'udienza dell'8 giugno 2012, depositando nuova rubrica di imputazione, ha aggiunto che l'attività posta in essere dai pubblici ufficiali che si assumono corrotti era avvenuta "in violazione dei doveri di ufficio, di imparzialità, correttezza ed autonomia", era da qualificare come "amministrativa", e non doveva ritenersi compiuta unitamente ai funzionari regionali L., g. e c., e, ancor più specificamente, che i coimputati B. e P. avevano posto in essere "un'attività amministrativa complessivamente contraria ai doveri di ufficio anche perchè risultato di un accordo corruttivo".

Siccome tali interventi sul capo di accusa non possono ritenersi correzioni di errore materiale, il giudice avrebbe dovuto applicare la disciplina di cui all'art. 516 c.p.p. e ss. e concedere il termine a difesa, previsto a pena di nullità dall'art. 522 c.p.p..

Del resto, la riprova che le precisazioni operate dal Procuratore della Repubblica in udienza hanno carattere sostanziale è offerta sia dalla sentenza impugnata, la quale, a p. 149, nel respingere le censure difensive, ha evidenziato come il proprio giudizio dovesse essere compiuto "sulla scorta delle risultanze offerte da un complesso dibattimento che ha anche registrato la modifica dei capi di imputazione da parte del P.M.", sia dalla sentenza di primo grado, la quale, a pag. 340, nell'argomentare le proprie conclusioni sulla contrarietà ai doveri di ufficio delle condotte dei pubblici ufficiali, ha affermato che, "anche se il falso non fosse stato commesso", la "nuova imputazione avrebbe coperto ogni comportamento antigiuridico".

6.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge avendo riguardo agli artt. 110, 479, 319 e 321 c.p. e artt. 125 e 192 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla configurabilità, in generale, del reato di corruzione propria.

Si deduce che il rigetto dell'osservazione n. 231 alla variante del P.R.G. era stato superato con l'approvazione dell'emendamento n. 5, come osservato non solo dai consulenti tecnici della difesa, ma anche nell'apposito parere dell'Avvocatura dello Stato. Di conseguenza, deve ritenersi che tutto l'iter procedimentale era stato corretto, e che, quindi, non è nemmeno astrattamente configurabile il reato di corruzione propria susseguente, quale addebitato all' A..

6.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, avendo riguardo agli artt. 110, 479, 319 e 321 c.p. e artt. 125 e 192 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento alla configurabilità, specificamente in capo all' A., del reato di corruzione.

Si deduce che l' A. era subentrato nella vicenda solo diversi mesi dopo l'approvazione dell'emendamento n. 5 alla variante del P.R.G.; non a caso, la corruzione propria antecedente contestata all' A. attiene all'aver sollecitato la velocizzazione del rilascio della concessione edilizia. Inoltre, è impropria e manifestamente illogica la valorizzazione delle risultanze delle conversazioni intercettate tra l' A. ed il F., nelle quali il secondo dice al primo di aver preso impegni con altre persone (pag. 151 della sentenza): questi impegni non significano certo obblighi concernenti il pagamento di compensi illeciti o corruttivi. Nè, poi, può essere assegnato valore decisivo all'esistenza dell'obbligo assunto dall' A. nei confronti del F. di pagare 1.680.000 Euro "senza l'indicazione di alcuna causale specifica" (pag. 160 della sentenza), poichè, in realtà, è accaduto che quest'ultimo ha approfittato personalmente della situazione, traendo vantaggio dai modesti compensi da corrispondere ai fratelli C. per la permuta del terreno, e perchè l'ingegnere D., cui era subentrato l' A., ha riconosciuto di aver preso detti "impegni" con il F. ed i fratelli C.. Ancora, non è significativo ai fini della configurabilità della corruzione che l' A. abbia riferito a F. di voler corrispondere le somme solo dopo aver ottenuto la concessione edilizia: solo dopo il rilascio di questa, infatti, era possibile stipulare preliminari e ricevere acconti. Sono ulteriormente irrilevanti, ai fini della dimostrazione della tesi d'accusa, sia la circostanza dell'effettuazione di conteggi tra F., B., P. e Gierotto in ordine alle somme corrisposte dall' A., giacchè queste dovevano essere corrisposte in adempimento di precise scritture private, e, in particolare, a titolo di mediazione per il F., sia la conversazione intercorsa tra l' A. ed il F. in data 18 maggio 2006, oggetto di intercettazione ambientale, allorquando l'imprenditore, preoccupato per notizie apparse sulla stampa locale, chiedeva ed otteneva dall'avvocato ampie rassicurazioni sulla correttezza delle operazioni compiute, dopo aver premesso di non sapere cosa fosse avvenuto in precedenza; anzi, l'interpretazione di questo colloquio costituisce un vero e proprio travisamento della prova: lo stesso, infatti, assevera che l' A. non era a conoscenza di illecite pattuizioni, poichè, se lo fosse stato, non avrebbe avuto la necessità di chiedere alcuna spiegazione. Da ultimo, non è stato considerato che il rilascio della concessione edilizia è intervenuto con ritardi maggiori di quelli ordinari, che i funzionari regionali ai quali è ascrivibile l'atto interpretativo circa i rapporti tra il rigetto dell'osservazione n. 231 e l'approvazione dell'emendamento n. 5 non sono risultati corrotti, che il B. ha proposto l'approvazione dell'emendamento n. 5 incontrando il parere favorevole di 21 consiglieri comunali su 22, e che nessuna prova vi è in ordine ad un accordo corruttivo precedente al voto riguardante detto emendamento.

6.5. Nel quinto motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo all'art. 110 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva.

Si deduce che una edificazione immobiliare priva di titolo abilitativo non implica anche la violazione dell'obbligo dell'approvazione di un piano di lottizzazione: la necessità di quest'ultimo costituisce valutazione tecnica di competenza dell'amministrazione.

6.6. Nel sesto motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, avendo riguardo all'art. 110 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento alla motivazione sulla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva.

Si deduce che la sentenza impugnata è priva di motivazione in ordine alla affermazione della sussistenza del reato di lottizzazione abusiva, poichè non spiega le ragioni da cui inferire una pregnante trasformazione edilizia ed urbanistica del territorio e, quindi, la necessità di un piano di lottizzazione, e si limita a richiamare acriticamente sul punto quanto indicato dai giudici di primo grado, evitando di confrontarsi con le relazioni di consulenza e la documentazione fotografica prodotte in dibattimento, dalle quali risultava la preesistente piena urbanizzazione dell'area.

6.7. Nel settimo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla disposta confisca.

Si deduce che non poteva essere disposta la confisca dei terreni sui quali doveva insistere l'attività edificatoria, poichè non è mai intervenuta, nemmeno in primo grado, pronuncia di condanna per il reato di lottizzazione abusiva: già il tribunale nel aveva infatti dichiarato la prescrizione. Tale conclusione, infatti, si impone alla luce della giurisprudenza delle sezioni unite.

6.8. Nell'ottavo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, avendo riguardo al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento alla motivazione della disposta confisca.

Si deduce che la motivazione della sentenza impugnata sul punto è meramente apparente (pagg. 225-226), limitandosi a richiamare le sentenze della Corte E.D.U. e la sentenza n. 49 del 2015 della Corte costituzionale.

7. L'avvocato Freni, nell'interesse degli imputati M.G. e S.A., ha proposto un ricorso "ordinario" ex art. 607 c.p.p. ed un ricorso incidentale.

7.1. Il ricorso "principale" è articolato in sei motivi.

7.1.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 603, 190 e 234 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale nel giudizio di appello.

Si deduce che la Corte illegittimamente non ha accolto la richiesta del Procuratore generale, cui aveva prestato adesione la difesa del M. e dello S., di riassumere la testimonianza dell'architetto Mi.Ma. e non ha dato atto, in motivazione, della relazione tecnica depositata dalla difesa sullo stato dei luoghi in cui si trovano i corpi di fabbrica ai quali si riferisce la concessione n. 36 del 2006, diretta a dimostrare quale fosse la corretta destinazione urbanistica da riconoscere al terreno interessato.

7.1.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo all'art. 111 Cost., comma 3, art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 605, 530 e 192 c.p.p., e artt. 110, 321 e 5 c.p., art. 43 c.p., comma 1, artt. 47, 48, 114 e 116 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla ritenuta responsabilità del M. e dello S. per il reato di corruzione.

Si deduce che l'imputazione nei confronti dei due imputati, rimasta immutata nel corso dell'intero procedimento, ha ad oggetto la promessa di una somma di denaro e di appartamenti a F.G. e G.A., sebbene gli stessi non abbiano mai avuto alcun contatto, telefonico o di altra natura, con i pubblici ufficiali P. e B.. Innanzitutto, il M. e lo S., secondo la Corte d'appello avevano comunione di interessi con A.S., il redattore del progetto per il rilascio della concessione edilizia, e non con A.G., e, tuttavia, A.S. è stato assolto già in primo grado.

Inoltre, non costituisce elemento a carico, salvo a voler

introdurre una responsabilità da posizione, la qualità di soci con A.G. nella S.A.M.M. Costruzioni s.r.l., tanto più che quest'ultima annoverava ed annovera anche altri soci, come M.A., mai indagato. Ancora, la S.A.M.M. si poneva come ente interessato ad acquisire la concessione, ma aveva conferito l'appalto per la realizzazione dei fabbricati alla AR.GE.MO. s.n.c., che faceva capo direttamente a A.G., e che era subentrato nel contratto di permuta concluso tra i fratelli C. e la D.G. costruzioni s.r.l. nel 2001. Nel senso dell'estraneità alle illecite pattuizioni del M. e dello S. - i quali hanno rinunciato alla prescrizione nel corso del giudizio di appello all'udienza del 30 marzo 2015 - depongono anche le risultanze delle intercettazioni telefoniche, che avrebbero dovuto essere tradotte, e che non hanno valore indiziante neppure se esaminate unitamente ai documenti acquisiti dagli inquirenti: in particolare, si evidenzia che lo S., dopo la richiesta di pagamento della somma di denaro da parte di A.G., ha preteso ed ottenuto da quest'ultimo appunti manoscritti a chiarimento dei contenuti dell'affare economico intrapreso, mentre il M. si è dichiarato disponibile a consegnare un assegno, in contrasto con l'elementare principio di logica secondo cui nessun corruttore consegna un assegno per destinarlo al corrotto. Nè elementi a carico dei due imputati sono desumibili dalle dichiarazioni del G. e del D., i quali mai hanno riferito di loro rapporti con il M. o lo S.: in particolare, il D., nell'illustrare lo svolgimento delle trattative per trasferire l'operazione immobiliare, ha parlato esclusivamente di contatti con A.G., il quale, dal canto suo, ha espressamente escluso che i soci in questione fossero consapevoli delle trattative effettuate con il D. ed il F.. Del resto, i due ricorrenti sono intervenuti nell'affare solo dopo la conclusione del procedimento amministrativo concernente la variante del P.R.G., e, quindi, in un'epoca di molto successiva ai pretesi atti contrari ai doveri di ufficio dei pubblici ufficiali: la data dell'atto di compravendita e di appalto tra la S.A.M.M. Costruzioni s.r.l. ed i fratelli C. è del 6 dicembre 2005; di conseguenza il M. e lo S., di fronte alle richieste di denaro e di appartamento da parte di A.G. avevano tutte le ragioni per ritenere che le somme e gli immobili fossero funzionali all'adempimento della permuta intervenuta con i C., tramite l'intervento dell'avvocato F.. La buona fede dei due ricorrenti sulla correttezza dell'operazione risalta anche alla luce della sentenza emessa dal T.A.R. Sicilia, che, in data 24 maggio 2007, ha accolto un ricorso proposto da tali A.G. e Ar.Gi. contro l'inclusione del loro terreno in zona agricola: il ricorso, invero, aveva ad oggetto un terreno sito nella via (OMISSIS), e questa è stata ritenuta nella decisione del giudice amministrativo località intensamente edificata ed urbanizzata; tale conclusione, se si vuole, è confermata anche dalla relazione di consulenza tecnica depositata dalla difesa nel corso del giudizio di appello. Da ultimo, vi è divergenza tra l'importo del fondo nero indicato in sentenza, pari a 1.000.000 di Euro e gli importi del prezzo della corruzione, indicati nell'imputazione in Euro 1.550.000 e nelle sentenze di merito in Euro 1.680.000.

7.1.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 110, 318 e 319 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla ritenuta responsabilità del M. e dello S. per il reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio.

Si deduce che, in ogni caso, la corruzione deve essere ritenuta corruzione per atto dell'ufficio perchè la concessione edilizia n. 36 del 2006 promana da istituzionali legittime ed anzi costituisce atto dovuto.

7.1.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo all'art. 24 Cost., comma 2, art. 111 Cost., commi 1 e 2 e artt. 110 e 479 c.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla sussistenza del reato di falso ideologico.

Si deduce che il reato di falso ideologico, contestato ad altri imputati, costituisce il presupposto per la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva, contestato al capo F). Tale reato deve essere però escluso in primo luogo perchè la contestazione erra sia nella indicazione della data del Decreto Dirigenziale n. 858, non individuabile nell'8 luglio 2003, essendo stato detto provvedimento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale solo il 18 ottobre 2003, sia nella specificazione del non accoglimento dell'emendamento n. 5, in realtà accolto. In secondo luogo, non è anomalo ritenere che l'approvazione dell'emendamento n. 5 abbia assorbito l'osservazione n. 231, nè che la notizia del parere sia stata data via fax all'ufficio del Presidente del Consiglio comunale di Messina, in quanto ciò risponde ad una prassi consolidata; infine, la nota che si assume falsa, è una mera nota di chiarimenti: come risulta da attestazioni rilasciate dal Comune di Messina, l'inclusione dell'area originariamente di proprietà dei C. in zona B è effetto del provvedimento regionale D.D.R. n. 686 del 2002.

7.1.5. Nel quinto motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo all'art. 110 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 129 c.p.p., comma 2, e art. 111 Cost., comma 6, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla sussistenza del reato di lottizzazione abusiva.

Si deduce che la modifica della contestazione del reato di lottizzazione abusiva di cui al capo F) della rubrica non è stata seguita dalla concessione del termine a difesa, pur richiesto.

Inoltre, gli atti del procedimento amministrativo, e segnatamente, l'approvazione della variante del P.R.G., l'approvazione dell'emendamento n. 5, e la concessione edilizia sono tutti atti perfettamente legittimi. Ancora, è irrilevante anche l'ipotetica corruzione dei pubblici ufficiali B. e F., sia perchè gli atti in questione sono riferibili ad una pluralità di soggetti, tra i quali i funzionari e componenti degli organismi regionali competenti, i numerosi Consiglieri comunali, di maggioranza e di opposizione del Comune di Messina e del Tecnico Comunale di Messina, ing. M.M., sia perchè nessun elemento dimostra l'esistenza di rapporti illeciti o consolidati tra gli imputati ed i funzionari regionali (in particolare, è del tutto privo di significato l'inoltro di notizie tramite fax dagli organismi regionali all'ufficio di Presidenza del Consiglio comunale di Messina, in quanto rispondente alla prassi). In ogni caso, la contestazione non specifica quale sia l'ipotesi di lottizzazione abusiva rilevante a norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, ed è del tutto illogico che dal reato sia stato assolto l'ingegnere A.S., che ha redatto il progetto per richiedere la concessione edilizia, e che, quindi, era perfettamente a conoscenza della situazione urbanistica del bene, e siano stati, invece, condannati M.G. e S.A., i quali non avevano preso parte alle attività afferenti al procedimento amministrativo, avendo aderito all'iniziativa solo dopo il rilascio di certificazione di destinazione urbanistica. Infine, il terreno interessato dalla concessione edilizia aveva tutte le potenzialità per ricadere in zona B, perchè la via (OMISSIS), distante poche centinaia di metri dal centro di (OMISSIS), era ormai urbanizzata, ed i provvedimenti di sequestro sono stati annullati senza rinvio dalla Corte di cassazione, sicchè deve ritenersi formato il giudicato interno.

7.6. Nel sesto motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla confisca delle aree su cui insistono i manufatti ed il cantiere sequestrati.

Si deduce che la confisca è illegittima, perchè il provvedimento di sequestro è stato annullato senza rinvio, perchè il reato di lottizzazione abusiva è stato oggetto di prescrizione, e perchè l'originaria ordinanza di sequestro preventivo non includeva il terreno o le aree. Inoltre, non può ritenersi accertato che la concessione edilizia abbia provocato la lottizzazione abusiva, nè che le vicende relative all'emendamento n. 5 alla variante del P.R.G. sarebbero state diverse in assenza di fatti illeciti riconducibili a privati e pubblici ufficiali.

7.2. Il ricorso incidentale è articolato in quattro motivi.

7.2.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 538, 539, 540 e 541 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), ed ancora questione di legittimità costituzionale dell'art. 607 c.p.p., nella parte in cui non prevede l'ammissibilità del ricorso incidentale per cassazione, rispetto a quello proposto dalle parti civili.

Si deduce che agli imputati M.G. e S.A. spetta l'interesse di resistere ai ricorsi per cassazione proposti dalle parti civili, e che, se ai medesimi è inibito di interloquire in merito a tali atti di impugnazione, è violato il loro diritto di difesa.

7.2.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 538, 539, 540, 541 e 598 c.p.p., art. 601 c.p.p., comma 4, artt. 575 e 576 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla inammissibilità dei ricorsi per cassazione di tutte le parti civili.

Si deduce che la sentenza di primo grado ha omesso di condannare al risarcimento dei danni, quale responsabile civile pur ritualmente citato, la Regione Sicilia, e che, conseguentemente, le parti civili avevano l'obbligo di proporre appello sul punto per evitare di aggravare la posizione degli altri debitori, tra i quali, appunto il M. e lo S., a norma dell'art. 1175 c.c..

7.2.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 609 e 539 c.p.p., nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla inammissibilità dei ricorsi per cassazione di tutte le parti civili.

Si deduce che i motivi proposti dalle parti civili non contengono doglianze deducibili in sede di legittimità, e che, in ogni caso, dette parti, avrebbero avuto l'onere di vigilare diligentemente sul titolo edificatorio prima di stipulare le promesse di vendita.

7.2.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, artt. 3 e 24 Cost. e art. 111 Cost., commi 1 e 2, nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a), b), c) ed e), in riferimento alla disposta confisca, con conseguente questione di legittimità costituzionale.

Si deduce che la confisca ha riguardato terreno e corpi di fabbrica riferibili alla S.A.M.M. Costruzioni s.r.l., e che, pertanto, alla stessa doveva essere garantita l'interlocuzione nel processo; ciò, tanto più che l'effetto di tale provvedimento è il trasferimento della proprietà di detti beni al Comune di Messina, del quale rappresentanti erano, tra gli altri, gli odierni imputati B. e P.. Si osserva che l'interesse concreto alla doglianza si evince anche dal fatto che uno dei soci della S.A.M.M. Costruzioni s.r.l. è M.A., attuale amministratore della persona giuridica e mai coinvolto nel processo. Si aggiunge che questione di costituzionalità è stata già sollevata dalla Corte di cassazione, Sez. 1, con ordinanza emessa all'udienza del 14 gennaio 2016.

8. Il ricorso proposto dall'avvocato Ioculano, nell'interesse della parte civile R., è articolato in due motivi.

8.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo all'art. 28 Cost., artt. 185, 319, 321 e 479 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili, in particolare nei confronti del responsabile civile Comune di Messina.

Si deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente revocato le statuizioni civili disposte in primo grado in favore del R. quale promissario acquirente in un preliminare di vendita del complesso (OMISSIS), da realizzare a seguito del rilascio della concessione edilizia ottenuta per effetto dell'accordo corruttivo, statuizioni aventi ad oggetto la condanna al risarcimento dei danni in misura da determinarsi, alle spese di costituzione e difesa esattamente quantificate ed alla provvisionale liquidata in misura pari alla caparra versata. Si rappresenta che inesatto è il presupposto da cui parte la Corte d'appello, e cioè che "la condotta degli imputati era foriera (...) indirettamente soltanto di vantaggi per i privati che acquistavano beni realizzati in forza dell'illecita lottizzazione dell'area, beni ai quali non avrebbero mai potuto accedere". Innanzitutto, infatti, atti contrari ai doveri di ufficio sono anche quelli formalmente regolari; inoltre, i promissari acquirenti degli immobili hanno stipulato i preliminari di acquisto proprio perchè gli imputati con la loro condotta illecita hanno reso possibile l'operazione immobiliare sul (OMISSIS). D'altro canto, ritenere, come afferma la sentenza impugnata, che i promissari acquirenti avrebbero potuto far valere le loro pretese in sede civile mediante azione di responsabilità contrattuale, significa limitare il diritto al risarcimento del danno nei soli confronti del promittente venditore. Ancora, non può negarsi il nesso tra le condotte dei pubblici ufficiali ed il Comune di Messina in termini di immedesimazione organica e di causalità necessaria tra funzioni esercitate e danno arrecato, in linea con la consolidata giurisprudenza di legittimità, posto che i reati - ritenuti accertati anche dal giudice d'appello - sono stati commessi sfruttando le mansioni pubbliche esercitate quali soggetti attivi per conto dell'ente locale. Per di più, in relazione al reato di corruzione per atti contrari ai doveri si ufficio, se persona offesa è solo la P.A., è comunque configurabile un danno nei confronti di altri soggetti, e, quindi, è ammissibile la costituzione di questi nel processo come parti civili (si cita Sez. 1, n. 652 del 12/11/1999).

8.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 185, 319, 321 e 479 c.p. e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili, in particolare nei confronti degli imputati.

Si deduce che la sentenza impugnata non ha esposto alcuna motivazione a fondamento della decisione di revocare le statuizioni civili nei confronti degli imputati, posto che non può rinviarsi per relationem a quanto addotto in riferimento alla posizione del Comune di Messina, attesa la diversa causa di responsabilità. E' inoltre contraddittoria la condanna penale e la revoca delle statuizioni civili nei confronti dei medesimi soggetti.

9. I ricorsi proposti dall'avvocato Mongiovì, nell'interesse della parte civile C., e dall'avvocato Pagano, nell'interesse della parte civile Ag., di identico contenuto, sono articolati in quattro motivi, che seguono ad una premessa nella quale si evidenzia l'interesse all'impugnazione della sentenza di appello, per avere la stessa revocato le statuizioni civili disposte in primo grado in favore della C. e dell' Ag. quali promissari acquirenti in preliminari di vendita sugli immobili da realizzare a seguito del rilascio della concessione edilizia ottenuta per effetto dell'accordo corruttivo.

9.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 319, 321 e 479 c.p., D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), art. 125 c.p.p., comma 3, artt. 525 e 544 c.p.p. e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili in favore dei ricorrenti.

Si deduce che nessuna motivazione è esposta con riferimento alla revoca delle statuizioni civili nei confronti degli imputati: la motivazione svolta attiene esclusivamente alla posizione del Comune di Messina; inoltre, detta revoca è in radicale contrasto con l'affermazione della sentenza impugnata laddove, in motivazione (pag. 230) ha confermato la sentenza di primo grado per quanto non specificamente disposto.

9.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 28 e 113 Cost., D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 22 e 23, artt. 185, 319, 321 e 479 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili a carico del Comune di Messina.

Si deduce, previo richiamo dell'elaborazione della giurisprudenza in materia, che la P.A. risponde civilmente dei reati commessi da propri dipendenti sfruttando le funzioni pubbliche ad essi attribuite, anche se al fine di realizzare finalità esclusivamente personali, che è ammissibile la costituzione quale parte civile nei processi per reati di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio di soggetti diversi dalla P.A. che abbiano subito un danno da condotte così qualificabili, e che il danno ingiusto può attenere anche alla lesione di interessi legittimi. Si rileva, poi, che, nella specie, il reato di corruzione è stato finalizzato al rilascio della concessione edilizia n. 36/2006, sulla base della quale l'imprenditore A. ed i suoi soci hanno potuto stipulare i contratti preliminari di vendita, come espressamente indicato negli stessi, ed incassare le caparre utilizzate per "onorare gli impegni assunti con F.": è stato così leso "l'affidamento (...) alla correttezza, liceità, buon andamento e trasparenza dell'azione amministrativa".

9.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 74 e 538 c.p.p., art. 2043 c.c., artt. 185, 319, 321 e 479 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili a carico sia del Comune di Messina, sia degli imputati.

Si deduce che è manifestamente illogico affermare, come fa la sentenza impugnata, che il danno subito dei promissari acquirenti rientra nell'alveo della responsabilità contrattuale, nonostante la commissione del reato, e che, anzi, i medesimi avrebbero addirittura ricevuto un vantaggio dall'attività delittuosa in quanto le condotte di corruzione avrebbero consentito una illecita lottizzazione delle aree. In primo luogo, infatti, i promissari acquirenti non hanno partecipato agli accordi illeciti intercorsi tra gli imputati ed hanno stipulato i preliminari "ponendo affidamento sulla legittimità della concessione edilizia n. (OMISSIS)". Inoltre, non può ritenersi conseguito dagli stessi alcun vantaggio illecito proveniente dal reato: le condotte di corruzione e la stipula dei contratti preliminari sono entrambe precedenti alla lottizzazione abusiva delle aree.

9.4. Nel quarto motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 538 e 541 c.p.p., a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla omessa pronuncia sulle spese.

Si deduce che la sentenza impugnata nulla ha disposto sulle spese per la costituzione e la difesa delle parti civili C. ed Ag., nonostante l'espressa richiesta.

10. I ricorsi proposti dall'avvocato Militi, nell'interesse delle parti civili Ma., Me., G., O., Gi., Ca., Fr. e Ce., dall'avvocato Scimone, nell'interesse delle parti civili L.P. e m., e dall'avvocato Garufi, nell'interesse delle parti civili Bu. e b., di identico contenuto, sono articolati in tre motivi. Gli stessi si riferiscono tutti a posizioni di promissari acquirenti in preliminari di vendita sugli immobili da realizzare a seguito del rilascio della concessione edilizia ottenuta per effetto dell'accordo corruttivo.

10.1. Nel primo motivo, si lamenta vizio di motivazione, avendo riguardo agli artt. 185, 319, 321 e 479 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili disposte con la sentenza di primo grado.

Si deduce che la revoca delle statuizioni civili da parte della Corte d'appello è del tutto immotivata e risponde esclusivamente alle censure proposte con il gravame dal responsabile civile Comune di Messina.

10.2. Nel secondo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo all'art. 28 Cost., artt. 185, 319, 321 e 479 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili nei confronti del responsabile civile Comune di Messina.

Si deduce che la sentenza di primo grado aveva evidenziato la sussistenza del nesso di occasionalità necessaria tra il comportamento del P. e del B. e le incombenze pubbliciste agli stessi affidate, che la responsabilità della P.A. in tali casi discende dai principi costituzionali e che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è ammissibile la costituzione quale parte civile nei processi per reati di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio di soggetti diversi dalla P.A. che abbiano subito un danno da condotte così qualificabili. Si rileva, poi, che, nella specie, "proprio per effetto della condotta illecita corruttiva è stato possibile formare un atto falso (concessione edilizia) e l'esistenza di questo atto ha determinato gli odierni ricorrenti ad acquistare gli immobili", sicchè "risulta oltremodo evidente la sussistenza di un grave danno in capo alle parti civili ed il nesso tra questo danno e le condotte poste in essere dagli imputati".

10.3. Nel terzo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo agli artt. 185, 319, 321 e 479 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), nonchè vizio di motivazione, a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili nei confronti degli imputati e del responsabile civile Comune di Messina.

Si deduce che le ragioni addotte a fondamento della revoca delle statuizioni civili sono relative solo all'azione esercitata nei confronti del Comune di Messina e che, certamente, i promissari acquirenti degli immobili, rimasti estranei ai fatti di corruzione, non hanno tratto alcun vantaggio dall'illecito: essi "si sono determinati a concludere un contratto preliminare di acquisto d'immobile proprio in ragione della falsa prospettazione della realtà e della alterazione della destinazione dei luoghi da parte di funzionari comunali ed imprenditori"; proprio il rilascio della concessione escludeva che potesse "essere conosciuta conoscibile l'attività di "abusiva lottizzazione" contestata successivamente agli imputati".

11. Il ricorso proposto dall'avvocato Notarianni, nell'interesse della parte civile W.W.F., è articolato in due motivi.

11.1. Nel primo motivo, si lamenta violazione di legge, avendo riguardo all'art. 74 c.p.p., artt. 170, 185, 319, 321 e 479 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili a vantaggio del W.W.F..

Si deduce che la sentenza impugnata ha disposto la revoca delle statuizioni civili in favore del W.W.F. sul presupposto che questo ente era legittimato a costituirsi parte civile unicamente per il reato di lottizzazione abusiva. Il Tribunale, però, aveva ammesso la costituzione del W.W.F. anche per gli altri reati, ivi compreso quello di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio. Inoltre, la trasformazione del territorio, avente ad oggetto la realizzazione di 8 corpi di fabbrica pluripiano, incide su di un'area sottoposta a vincolo ambientale e paesaggistico, e quindi l'attività corruttiva, consentendo l'illegittimo rilascio della concessione ad edificare in detta porzione di territorio, ha violato interessi ambientali e paesaggistici oggetto di tutela. In questo modo, è stata vanificata la finalità istituzionalmente perseguita dall'associazione e dai suoi soci, che già in data 6 marzo 2006 avevano denunciato per iscritto la collisione tra le scelte edificatorie in questione e gli interessi ambientali e paesaggistici, con violazione sia del D.M. n. 1444 del 1968, art. 2 per la mancanza di un piano urbanistico attuativo, sia del D.A. 6080 del 21 maggio 1999, Linee guida al piano paesistico regionale, per il mancato rispetto dei vincoli idrogeologico ed ambientale. Il W.W.F., in altri termini, è titolare del diritto al risarcimento sia del danno ambientale, sia del danno all'immagine per la perdita di credibilità ed il pregiudizio alla propria attività istituzionale. D'altro canto, la causa di estinzione non opera nel caso di reato presupposto, a norma dell'art. 170 cod. pen., ed il diritto dell'Unione Europea (in particolare la direttiva 2002/35) mira ad assicurare il più ampio diritto all'accesso alla giustizia in m. ambientale, e, quindi, alla legittimazione delle associazioni ambientaliste.

11.2. Nel secondo motivo, si lamenta vizio di motivazione, avendo riguardo agli artt. 185, 319, 321 e 479 c.p., e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), a norma dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in riferimento alla revoca delle statuizioni civili a vantaggio del W.W.F..

Si deduce che la revoca delle statuizioni civili in favore del W.W.F. è stata disposta senza motivazione, sebbene il Tribunale avesse ammesso la costituzione dell'ente in questione con riferimento a tutti i reati e a tutti gli imputati.

12. La memoria depositata dall'avvocato Laura Autru Ryolo nell'interesse dell'imputato M.S., chiede la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi presentati nei confronti dello stesso, evidenziando che nessun ricorrente contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha assolto il medesimo M.S. per non aver commesso il fatto, e che, quindi, tale capo di decisione deve ritenersi ormai cosa giudicata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Infondati, ma non manifestamente infondati, sono i ricorsi presentati dagli imputati B.U., F.G., P.A., A.G., M.G. e S.A.. Da ciò consegue l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata nella parte che ha disposto la condanna del B., del F., del P. e dell' A. perchè i reati ascritti ai medesimi sono estinti per prescrizione, il rigetto dei ricorsi del M. e dello S., avendo questi ultimi rinunciato alla prescrizione, e la conferma delle statuizioni relative alla disposta confisca.

Fondati, invece, nei limiti che si preciseranno, sono i ricorsi delle parti civili R.P., C.M., Ma.Lu., Me.Gi., G.G., O.E., Gi.Do., Ca.Gi., Fr.Di.Ma., Ce.Al., L.P.D., m.L.M., Ag.Ro., Bu.Vi., b.A. e W.W.F. Italia. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata in riferimento alle statuizioni relative al rigetto delle richieste risarcitorie derivanti dai fatti di corruzione nei confronti dei soggetti di cui si darà specifica indicazione, con rinvio al giudice civile competente in grado di appello per nuovo giudizio su tali capi nonchè sulla complessiva regolamentazione delle spese sostenute dalle parti civili nel giudizio di appello e nel presente giudizio di legittimità.

2. Per ragioni di chiarezza espositiva e di ordine logico, la presente decisione affronterà innanzitutto le questioni processuali di carattere generale, e precisamente quella relativa alla competenza del Tribunale e della Corte d'appello di Messina, contestata nel secondo motivo di ricorso del F., nel sesto motivo di ricorso del P. e nel primo motivo di ricorso dell' A., e quella concernente la mancata concessione dei termini a difesa in occasione della "modifica" dell'imputazione avvenuta nel corso del dibattimento di primo grado, sollevata nel quinto motivo di ricorso del F., nel primo motivo di ricorso del B., nel primo motivo di ricorso del P. e nel secondo motivo del ricorso dell' A..

Si esaminerà, poi, la questione dell'avvenuto decorso della prescrizione prima della pronuncia della sentenza di appello, con riferimento alle imputazioni come contestate, formulata nel primo motivo di ricorso del F..

Si approfondiranno, quindi, le questioni attinenti alla configurabilità del reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, cui sono strettamente connesse quelle relative al reato di falso in atto pubblico, già dichiarato prescritto, ma costituente, nell'impostazione accusatoria recepita nelle sentenze di merito, segmento della condotta corruttiva. A tal fine, si procederà, dapprima, ad una descrizione del complesso iter amministrativo fino al rilascio della concessione n. (OMISSIS), del ruolo svolto in relazione allo stesso dai ricorrenti, dei contratti relativi alla programmazione della complessiva attività edificatoria e delle operazioni economiche intercorse tra gli stessi, alla luce di quanto evidenziato nella sentenza impugnata, e, poi, alla disamina delle questioni sollevate nei singoli ricorsi, ivi comprese quelle che lamentano la mancata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello (terzo, quarto e sesto motivo di ricorso del F.; secondo, terzo e quarto motivo di ricorso del B.; secondo, terzo, quarto, quinto e settimo motivo di ricorso del P.; terzo e quarto motivo di ricorso dell' A.; primo, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso dello S. e del M.).

Saranno successivamente valutate le questioni concernenti la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva e la legittimità della confisca, dedotte, in particolare, nel quinto, nel sesto, nel settimo e nell'ottavo motivo di ricorso dell' A. e nel quinto e nel sesto motivo di ricorso dello S. e del M., nonchè nel quarto motivo nuovo di ricorso dello S. e del M..

Verranno infine scrutinate le questioni relative ai profili risarcitori, poste dalle parti civili, ma anche nel primo, nel secondo e nel terzo motivo nuovo di ricorso dello S. e del M. e nella memoria presentata nell'interesse di Santi M.. A tal fine, dapprima si esamineranno le questioni sollevate nel primo e nel secondo motivo nuovo di ricorso dello S. e del M., in quanto prospettanti, in via preliminare, l'inammissibilità dei ricorsi di tutte le parti civili.

Poi saranno valutate le questioni formulate nei ricorsi delle parti civili che lamentano la violazione della loro posizione giuridica di promissari acquirenti di appartamenti realizzati sul presupposto del titolo concessorio derivante dalla contestata corruzione, nonchè nel terzo motivo nuovo di ricorso dello S. e del M., che nega la sussistenza di una pretesa giuridicamente tutelabile in capo a costoro. Quindi, saranno approfondite le questioni dedotte dalla parte civile W.W.F. Contestualmente, si darà conto della questione sui limiti dell'accoglimento dei ricorsi delle parti civili anche in relazione alla posizione di M.S..

Restano invece assorbiti il quinto motivo di ricorso del B. e l'ottavo motivo di ricorso del P., riguardanti il trattamento sanzionatorio agli stessi inflitto dalla sentenza impugnata, attesa la dichiarazione di prescrizione dei reati ascritti ai due ricorrenti.

3. La questione relativa alla incompetenza del Tribunale di Messina, quale giudice di prima cura, e della Corte d'appello di Messina, quale giudice di secondo grado, è stata dedotta nel secondo motivo di ricorso del F., nel sesto motivo di ricorso del P. e nel primo motivo di ricorso dell' A.. La stessa è stata formulata con riferimento a due distinti profili.

3.1. Si è contestato, innanzitutto, da parte del F., del P. e dell' A., che competente per il giudizio di primo grado sarebbe il tribunale di Reggio Calabria, per ragioni di connessione.

A sostegno di tale conclusione, si osserva che un coindagato, l'architetto M.M., aveva appreso dell'esistenza delle indagini in corso da tale C.M., il quale, in relazione all'indebita propalazione, ascrittagli sub specie di rivelazione di segreto d'ufficio (art. 326 c.p.) e di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.), era stato giudicato dal tribunale di Reggio Calabria, ritenuto competente in quanto il C. aveva ricevuto la notizia della pendenza del procedimento da un magistrato in servizio presso la Procura della Repubblica di Messina. Tenuto conto di ciò, e considerato che la connessione teleologica di cui all'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), non richiede l'identità tra gli autori dei diversi reati, sussisterebbero i presupposti per l'operatività dell'istituto in questione tra il presente procedimento e quello a carico del C., attraverso l'anello intermedio del procedimento a carico del M.. Ciò tanto più che l'archiviazione nei confronti del M. è stata disposta solo a dibattimento in corso, e che il medesimo è stato esaminato nel presente giudizio a norma dell'art. 210 c.p.p..

La censura è infondata.

E' vero che secondo il più recente indirizzo giurisprudenziale, ai fini della configurabilità della connessione teleologica prevista dall'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), non è richiesto che vi sia identità fra gli autori del reato fine e quelli del reato mezzo (così, in linea generale, Sez. 3, n. 12838 del 16/01/2013, Erhan, Rv. 257164, nonchè Sez. 6, n. 37014 del 23/09/2010, Della Giovampaola, Rv. 248746; nel senso opposto, per la più recente massimata, v. Sez. 4, n. 27457 del 10/03/2009, Ruiu, Rv. 244516), e che, anzi, la sussistenza di una causa di connessione tra più fatti, alcuni dei quali contestati in concorso con un magistrato, attribuisce al giudice cui spetta la cognizione dei reati ascritti al magistrato anche la competenza per le imputazioni riguardanti esclusivamente altri indagati, in forza della previsione di cui all'art. 11 c.p.p., comma 3, (Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, Filippi, Rv. 254283).

Tuttavia, nel caso in esame, non ricorrono i presupposti che determinano l'operatività dell'istituto della connessione. Invero, a norma dell'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), si ha connessione di procedimenti "se dei reati per cui si procede gli uni sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri". Secondo un orientamento giurisprudenziale mai contestato e che il Collegio condivide, non ricorre un "caso" di connessione ai sensi dell'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), quando i reati ulteriori siano stati commessi al fine di assicurare l'impunità ai colpevoli di altro reato, posto che questa ipotesi, precedentemente prevista dal legislatore, è stata espressamente abrogata ad opera della L. 1 marzo 2001, n. 63, e che le deroghe al criterio generale di competenza per territorio sono di stretta interpretazione, in quanto viene in rilievo il principio del giudice naturale precostituito per legge (così Sez. 1, n. 25723 del 20/05/2008, Feleppa, Rv. 240462 e Sez. 1, n. 19066 del 20/04/2004, Leonardi, Rv. 228654). Le condotte ascritte al C. di aver informato il M. dell'esistenza di un procedimento penale per i fatti in questione sono da qualificarsi certamente come funzionali ad assicurare ai colpevoli di questi ultimi l'impunità e non, invece, ad "occultare" i delitti in esame, posto che, a prescindere da ogni altra considerazione, per gli stessi si stava già procedendo in sede di indagini preliminari.

Le esposte osservazioni, in quanto autonomamente risolutive della questione, escludono ogni rilevanza alle ulteriori deduzioni contenute nel ricorso del P., e relative al momento di emissione del decreto di archiviazione nei confronti del M., ed all'avvenuto esame di questi a norma dell'art. 210 c.p.p..

Da un lato, infatti, l'assenza di un legame di connessione ex art. 12 c.p.p. tra le condotte di indebita propalazione ed i fatti in contestazione nel presente procedimento esclude ogni significato alla stessa emissione del provvedimento di archiviazione nei confronti del M.. Dall'altro, l'assunzione dell'esame del M. doveva comunque avvenire nel rispetto delle forme previste dall'art. 210 c.p.p., perchè il medesimo era stato indagato per il reato di falso ideologico in riferimento ad una vicenda che si inseriva nell'iter procedimentale oggetto del contestato accordo corruttivo e che era specificamente oggetto di una delle imputazioni per le quali si stava celebrando il dibattimento.

3.2. Si è contestato, poi, in specie da parte del F., che, alternativamente, competente per il giudizio di primo grado sarebbe il tribunale di Palermo, posto che il reato più grave tra quelli contestati è quello di falso ideologico in atto pubblico di cui al capo c), commesso appunto in Palermo.

Si rileva, in proposito, che non deve tenersi conto del delitto di partecipazione ad associazione per delinquere con la qualità di promotore, costitutore ed organizzatore imputato al F., in quanto per detto reato già in fase di indagini la Corte di cassazione aveva escluso i gravi indizi di colpevolezza.

Anche questa censura è infondata.

Invero, non può prescindersi dalla contestazione del reato di aver promosso, costituito ed organizzato un'associazione per delinquere, posto che anche per questa imputazione è stata esercitata l'azione penale nonchè emesso decreto di rinvio a giudizio da parte del giudice dell'udienza preliminare, e che non vi sono ragioni per derogare al principio generale della perpetuatio iurisdictionis.

Proprio in ragione di questo generale principio, del resto, la giurisprudenza di legittimità ritiene definitiva ed irrevocabile l'attribuzione della competenza per connessione almeno quando sia stato disposto il rinvio a giudizio (così Sez. 1 n. 2739 del 14/05/1998, Campigli, Rv. 210722, e Sez. 1, n. 3308 del 12/05/1997, Olivieri, Rv. 207757), ed irrilevante l'assoluzione dell'imputato dal reato più grave che aveva determinato la competenza anche per gli altri reati (Sez. 2, n. 3662 del 21/01/2016, Prisco, Rv. 265783).

Si può aggiungere, per completezza, che oggetto del giudizio di primo grado è stata anche altra contestazione di falso ideologico in atto pubblico, quella di cui al capo b), e che la stessa è stata formulata come commessa in (OMISSIS) in data antecedente a quella di cui al capo c). Ed invero, quando vi è connessione di procedimenti, la competenza per il simultaneus processus spetta, in caso di pari gravità dei reati in contestazione, al giudice competente per il primo reato, attesa l'espressa previsione dell'art. 16 c.p.p., comma 1.

4. La questione concernente la mancata concessione dei termini a difesa in occasione della "modifica" dell'imputazione avvenuta nel corso del dibattimento di primo grado, è stata sollevata nel quinto motivo di ricorso del F., nel primo motivo di ricorso del B., nel primo motivo di ricorso del P. e nel secondo motivo del ricorso dell' A..

I ricorrenti, per la precisione, lamentano che il Pubblico ministero, durante il giudizio davanti al Tribunale, ha proceduto ad una modifica sostanziale dell'imputazione introducendo un fatto diverso. A fondamento di tale assunto, si rappresenta, in particolare, che, mentre la formulazione originaria dell'imputazione per corruzione indicava come oggetto di mercimonio atti specificamente individuati - segnatamente, le note dal contenuto asseritamente mendace redatte, rispettivamente, il 10 febbraio 2004 dall'ufficio tecnico del Comune di Messina e il 31 marzo 2004 dall'A.R.T.A. in risposta a quella dell'ufficio tecnico -, il nuovo testo dell'atto di accusa, depositato davanti al Tribunale di Messina in data 8 giugno 2012, fa riferimento alla "attività amministrativa complessivamente svolta".

4.1. E' utile premettere, in linea generale, che il Pubblico ministero può intervenire in udienza sul capo di imputazione per precisarne i contenuti, senza che questo necessariamente determini l'attribuzione all'imputato dei diritti previsti dagli artt. 519 e 520 c.p.p., la cui violazione è sanzionata a pena di nullità ex art. 522 c.p.p..

In primo luogo, infatti, i diritti di cui agli artt. 519 e 520 c.p.p. presuppongono, per espressa disposizione normativa, che si versi in uno dei casi previsti dagli artt. 516, 517 e 518 c.p.p., e cioè che "il fatto risulta diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio", ovvero che venga contestato un reato connesso a norma dell'art. 12 c.p.p., comma 1, lett. b), o una nuova circostanza aggravante diversa dalla recidiva, o un "fatto nuovo".

In secondo luogo, poi, è la stessa legge a prevedere esplicitamente un'ipotesi in cui l'intervento del Pubblico ministero sull'imputazione non comporta per l'imputato il diritto al termine a difesa, e precisamente quando è contestata la recidiva, che pure incide sulla pena e sul termine di prescrizione.

In terzo luogo, ancora, non può ritenersi precluso al Pubblico ministero di precisare il capo di imputazione, al di fuori dei casi previsti dagli artt. 516, 517 e 518 c.p.p.. In effetti, l'ammissibilità di un potere di precisazione dell'imputazione in capo al Pubblico ministero è in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale la modifica del capo di imputazione con riferimento alla data del commesso reato, operata in udienza dal Pubblico ministero, non costituisce modifica rilevante a norma dell'art. 516 c.p.p., quando non comporta alcun significativo mutamento della contestazione, la quale resti immutata nei suoi tratti essenziali, così da non incidere sulla possibilità di individuazione del fatto da parte dell'imputato e sul conseguente esercizio del diritto di difesa (così tra le tante, Sez, 5, n. 4175 del 07/10/2014, dep. 2015, Califano, Rv. 262844, nonchè Sez. 5, n. 10196 del 31/01/2013, Mannino, Rv. 254658). La soluzione indicata,

inoltre, risulta coerente con il principio enunciato più volte anche dalle sezioni unite, in forza del quale la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, e quindi del divieto di mutamento del fatto, va accertata non sulla base del pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, Carelli, Rv. 248051, nonchè Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205619); se, infatti, è consentito al giudice introdurre in sentenza delle precisazioni non implicanti una immutazione del fatto rispetto al capo di accusa, è ragionevole ritenere che lo stesso possa essere consentito anche al Pubblico ministero nel corso del dibattimento prima della sentenza.

4.2. Nella vicenda in esame, come rilevato nell'ordinanza pronunciata dal Tribunale di Messina in data 8 giugno 2012, richiamata dall'ordinanza della Corte d'appello di Messina in data 10 luglio 2014, gli interventi operati dal Pubblico ministero nel corso del dibattimento di primo grado, e precisamente all'udienza dell'8 giugno 2012, sono relativi ai capi di imputazione sub d) (concernente la corruzione contestata al F., al B. ed al P.) e sub f) (relativo alla lottizzazione abusiva contestata a tutti gli imputati), e si caratterizzano per il riferimento alla "attività amministrativa complessivamente svolta". L'ordinanza del Tribunale, pienamente condivisa dalla Corte d'appello, rappresenta che le precisazioni apportate "non fanno altro che esplicitare già quanto ampiamente desumibile dalla descrizione dei fatti e delle condotte ascritte a ciascuno degli imputati, senza introdurre alcun elemento di novità rispetto ai capi di imputazione" e che "la corposa istruttoria anche documentale ha interessato tutti i fatti oggetto del procedimento ed ha consentito una difesa ad ampio raggio degli imputati".

L'affermazione secondo cui l'intervento operato dal Pubblico ministero sui capi di imputazione costituisce "precisazione" e non "modifica" degli stessi risulta corretta. Non solo, infatti, risulta estremamente formalistico ritenere che l'originaria contestazione del delitto di corruzione fosse rigidamente ancorata ai falsi ideologici come unici atti oggetto di mercimonio, già in considerazione della sua formulazione testuale, la quale indicava come termine di riferimento, ed obiettivo finale, dell'attività corruttiva il rilascio della concessione edilizia n. (OMISSIS). Si può anche aggiungere che l'originaria contestazione andava logicamente letta in combinazione con tutte gli addebitati formulati nei confronti degli imputati, e che, in particolare, il capo a) (relativo all'associazione per delinquere contestata al F., al B. ed al P.), da un lato precisava che il sodalizio illecito era finalizzato anche a commettere i reati di cui ai capi b), c), d), e), e f), e, dall'altro, faceva riferimento, per il F., ad una generale attività di condizionamento al fine di ottenere il rilascio di provvedimenti amministrativi favorevoli alle imprese private per cui prestava la propria opera professionale, e, per il B. ed il P., ad una generale attività in collaborazione con il F. diretta ad emanare o a contribuire ad emanare atti amministrativi favorevoli alle precisate imprese.

5. La questione relativa all'avvenuto decorso della prescrizione prima della pronuncia della sentenza di appello, con riferimento alle imputazioni come contestate, è stata formulata nel primo motivo di ricorso del F..

La stessa è manifestamente infondata.

La doglianza, che calcola la data di prescrizione del reato facendo riferimento al termine ordinario di sei anni di cui all'art. 157 c.p. più l'aumento di un quarto per l'interruzione, e quindi fissa la stessa al 20 ottobre 2014, non tiene conto delle numerose sospensioni disposte nel corso dei processi di primo e di secondo grado, le quali hanno spostato il termine di maturazione della causa estintiva in epoca sicuramente successiva al 26 maggio 2015, giorno della lettura del dispositivo della sentenza emessa dalla Corte di appello.

6. Per una esatta comprensione delle doglianze concernenti la configurabilità del reato di corruzione e della conseguente lottizzazione abusiva, è utile riportare sinteticamente, ma organicamente, quanto indicato nella sentenza impugnata sia in ordine alla evoluzione dell'iter amministrativo concernente la definizione delle potenzialità edificatorie del terreno di proprietà dei fratelli C., conclusa con il rilascio della concessione edilizia (rectius: permesso di costruire) n. (OMISSIS), sia relativamente alle attività poste in essere dai ricorrenti nello svolgimento delle procedure amministrative in questione, sia con riguardo all'evoluzione degli accordi economici e dei pagamenti effettuati al F. e da questi ai pubblici ufficiali, sia per quanto concerne la posizione dei tre imprenditori interessati a realizzare gli edifici oggetto del titolo edificatorio.

7. Per quanto attiene alla evoluzione dell'iter amministrativo concernente la definizione delle potenzialità edificatorie del terreno di proprietà dei fratelli C., la premessa è individuabile nel provvedimento di "rielaborazione totale della Variante Generale al P.R.G. della città di Messina", adottato con Delib. 29/c/1998 del 6 aprile 1998 dal Comune di Messina, che aveva classificato il terreno di proprietà dei fratelli C., ubicato in località (OMISSIS), in parte in zona C1b e in parte in zona E1, con indice di edificabilità pari a 1,5 mc/mq.

7.1. In data 23 marzo 1999, due sorelle della famiglia C., dichiarandosi domiciliate presso l'avvocato Fortino Giuseppe, presentarono avverso la delibera una osservazione, protocollata con il n. 231, con la quale chiesero che il terreno di loro proprietà ricevesse destinazione di zona B di completamento, con indice di edificabilità pari a 5 mc/mq. L'Ufficio Tecnico del Comune di Messina espresse parere contrario all'accoglimento dell'osservazione, rilevando che "il terreno interessato dall'osservazione è libero da edificazione e non presenta le caratteristiche di zona "B"; tale parere fu recepito dalla 3^ Commissione consiliare in data 1 luglio 2000. L'osservazione, però, fu accolta con le Delib. consiliari n. 45/c/2000 dell'8 agosto 2000 e n. 65/c/2000 del 18 settembre 2000.

Gli atti relativi al P.R.G. furono poi trasmessi, tramite l'unità operativa 4.1 del Dipartimento regionale urbanistica (D.R.U.), organo tecnico dell'Assessorato Regionale territorio ed ambiente (A.R.T.A.), al Consiglio regionale per l'urbanistica (C.R.U.). Il C.R.U., con voto n. 552 del 17 gennaio 2002, manifestò il suo parere su tutte le questioni tecniche e giuridiche dell'atto di pianificazione, ivi comprese quelle poste nelle osservazioni; in particolare, indicò espressamente l'osservazione n. 231 tra quelle che "non si accolgono, in conformità a quanto espresso dall'Ufficio Tecnico Comunale", evidenziando, tra l'altro, che "si è proceduto al ricalcolo del fabbisogno, anche ad un radicale ridimensionamento delle aree destinate all'espansione residenziale" e che "in linea generale si condividono le localizzazioni delle zone C1 (...)".

7.2. I C., a mezzo dell'avvocato Fortino, in data 8 aprile 2002, presentarono istanza all'Ufficio Tecnico perchè il parere negativo venisse modificato; detto organo, però, trasmise questa ed altre istanze al Consiglio Comunale "non senza richiamare l'istruttoria già effettuata dall'U.T.C. e dai progettisti (per quelle a suo tempo esaminate) (...)". Il Consiglio Comunale di Messina, con Delib. n. 9/C del 18 aprile 2002, formulò le controdeduzioni, approvando dieci emendamenti tra cui il n. 5; quest'ultimo, il cui primo proponente era l'odierno ricorrente B., richiamava le scelte effettuate con la Delib. n. 65/C del 18 settembre 2000 per la località (OMISSIS) "significando che trattasi di porzione di territorio comunale con caratteristiche tecniche ed urbanistiche idonee a tali destinazioni", e riportava in allegato il parere dell'Ufficio tecnico il quale rappresentava che "l'emendamento tratta una scelta di carattere politico; sotto il profilo tecnico non ostano impedimenti, semprechè nell'istruttoria tecnica dell'U.T.C. delle singole osservazioni/opposizioni non siano stati mossi specifici rilievi".

L'unita 4.1. del D.R.U., con proposta n. 22 del 14 giugno 2002, rimise gli atti al C.R.U. precisando che i chiarimenti forniti non consentivano di modificare il parere già reso da questo organo consiliare, e che pertanto la variante del P.R.G. poteva essere approvata "con le modifiche, prescrizioni e stralci di cui al voto del C.R.U. n. 552 del 17 gennaio 2002"; con specifico riferimento all'osservazione n. 231, la cui riproposizione con integrazioni era definita "fase non prevista dalla legge", si affermava che "i chiarimenti forniti non consentono di poter modificare il parere già reso dal C.R.U.". Il C.R.U., con voto n. 668 del 18 luglio 2002, nel condividere in linea generale la proposta n. 22, dispose, con riferimento all'emendamento n. 5 del Consiglio comunale di Messina, che "sotto il profilo geologico l'area oggetto dell'emendamento n. 6 (in realtà 5), riportata nella tavola di piano n. 19 da zona "E1" a zona "C1d" è assentibile, ad eccezione della parte a configurazione "a terrazzo"", mentre nulla aggiunse di specifico con riferimento alla osservazione n. 231. Il Decreto Dirigenziale n. 686 del 2 settembre 2002, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia, approvò il P.R.G. precisando espressamente che le osservazioni ed opposizioni risultavano decise in conformità dei pareri resi dal C.R.U. con i voti n. 552 e 668.

Successivamente, l'Ufficio Tecnico del Comune di Messina, e precisamente il Dipartimento Politiche del Territorio, chiese all'A.R.T.A. chiarimenti sui rapporti tra l'approvazione dell'emendamento n. 5 e le osservazioni dei privati relative alle aree interessate dall'emendamento. L'Unita operativa 4.1. del D.R.U., con proposta di parere n. 24 del 19 maggio 2003, fece "presente che a pag. 17 del Decreto n. 686/2002, al paragrafo tavola 19, le osservazioni sono state puntualmente decise e ad esse si rimanda"; a pag. 17 sotto la voce tavola 19 si legge che alcune osservazioni, tra cui la 231, "non si accolgono, in conformità a quanto espresso dall'U.T.C.". Tale parere venne condiviso dal C.R.U. con voto n. 146 del 25 giugno 2003, e fu recepito nel Decreto Dirigenziale n. 858 dell'8 luglio 2003.

7.3. In conseguenza di tali determinazioni dell'autorità amministrativa regionale, l'avvocato Fortino, dapprima, in data 3 ottobre 2003, presentò ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia, chiedendo l'annullamento dei Decreti Dirigenziali n. 686/2002 e 858/2003, del voto del C.R.U. n. 552/2002, e di ogni altro atto connesso; quindi, in data 6 febbraio 2004, presentò ulteriore istanza al Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Messina, perchè quest'ultimo "richiedesse all'A.R.T.A. un parere vincolante e motivato che chiarisse, in via definitiva, se dovesse considerarsi prevalente il parere dell'U.T.C. espresso sull'emendamento n. 5, rispetto al precedente parere espresso sull'emendamento n. 231". Il Dipartimento Politiche del Territorio, con nota di trasmissione del 10 febbraio 2004, dispose in conformità dell'istanza del F., rappresentando che i Decreti Dirigenziali n. 686/2002 e 858/2003 "non hanno espresso una decisione univoca", e che, quindi, la richiesta di chiarimenti "appare legittima". L'Unità operativa 4.1 del D.R.U., con nota 19.471 del 31 marzo 2004, sulla premessa che l'A.R.T.A. aveva "accolto, salvo che per gli aspetti strettamente geologici, l'emendamento n. 5 della Delib. consiliare n. 9/C del 18.4.2002", concluse che "l'osservazione n. 231 deve ritenersi accolta (...)"; tale nota, secondo la sentenza, è da ritenere ideologicamente falsa, perchè ometteva completamente di considerare il contenuto, univoco in senso contrario, del Decreto Dirigenziale n. 686 del 2 settembre 2002, reso sull'espresso richiamo dei pareri del C.R.U. n. 552 e 668.

7.4. Nel prosieguo, l'evoluzione della vicenda fu la seguente: in data 20 settembre 2004, il Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Messina attestò che gran parte del terreno dei fratelli C. ricadeva in zona "B4c", con in dice di fabbricabilità 5 mc/mq; in data 21 ottobre 2004, i fratelli C. presentarono richiesta di concessione edilizia al Comune di Messina (il progetto era a firma dell'ingegnere A.S., figlio del ricorrente A.G.); in data 12 aprile 2005, il Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Messina predispose il rapporto tecnico e formulò proposta di rilascio della concessione edilizia; in data 6 maggio 2005, la Commissione edilizia comunale espresse parere favorevole al rilascio della concessione; in data 23 marzo 2006, la concessione n. (OMISSIS) venne rilasciata ad opera del Dipartimento di Edilizia Privata del Comune di Messina.

7.5. Nel descrivere il complessivo iter della pratica, la sentenza precisa pure che, durante il corso del procedimento amministrativo, non è mai stato espresso alcun parere dell'Avvocatura dello Stato: questa istituzione è intervenuta solo in sede di costituzione dell'A.R.T.A. nell'udienza preliminare del presente procedimento penale, per tutelare le ragioni della stessa, citata come responsabile civile per il reato di falso ideologico addebitato ai funzionari dell'Unita 1 del D.R.U. in relazione al contenuto della nota 19.471 del 31 marzo 2004.

8. Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, significativi ed intensi sono i contributi offerti dal F., dal B. e dal P. al "positivo" esito dell'iter amministrativo.

8.1. L'avvocato Fortino, come si è già rilevato, in data 23 marzo 1999, era indicato come il domiciliatario delle sorelle C., nell'istanza contenente l'osservazione protocollata con il n. 231.

Lo stesso, inoltre, dopo il provvedimento sfavorevole del C.R.U. n. 552/2002, presentò per conto delle C., in data 8 aprile 2002, l'istanza all'Ufficio Tecnico del Comune di Messina affinchè questo modificasse il precedente parere negativo espresso sull'opposizione n. 231; a tale istanza fece seguito l'approvazione da parte del Consiglio Comunale di Messina, della Delib. n. 9/C del 18 aprile 2002, nel cui ambito rientrava anche l'emendamento n. 5. Il medesimo professionista, ancora, dopo il voto negativo del C.R.U. n. 146 del 2003, recepito nel Decreto Dirigenziale n. 858 dell'8 luglio 2003, da un lato, in data 3 ottobre 2003, i presentò ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia, chiedendo l'annullamento dei Decreti Dirigenziali n. 686/2002 e 858/2003, del voto del C.R.U. n. 552/2002, e di ogni altro atto connesso, e, dall'altro, in data 6 febbraio 2004, presentò ulteriore istanza al Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Messina, perchè quest'ultimo "richiedesse all'A.R.T.A. un parere vincolante e motivato che chiarisse, in via definitiva, se dovesse considerarsi prevalente il parere dell'U.T.C. espresso sull'emendamento n. 5, rispetto al precedente parere espresso sull'emendamento n. 231".

Il medesimo F., inoltre, come sarà più analiticamente rappresentato esaminando le posizioni dei coimputati, risulta aver agito in stretta sintonia con il B. ed il P. sia nel periodo successivo al giugno 2003, quando la classificazione urbanistica del terreno dei fratelli C. era gravemente pregiudicata, e si mise in moto la procedura per ottenere il parere espresso dal D.R.U. con la nota n. 19.471 del 31 marzo 2004, sia nella fase immediatamente precedente al rilascio della concessione n. (OMISSIS).

8.2. Il B., consigliere comunale, vicepresidente del Consiglio Comunale di Messina e, da ultimo, presidente del medesimo Consiglio comunale dal 2003 al 2005, innanzitutto, risulta essere stato l'unico componente dell'organo consiliare indicato ad essere intervenuto nella seduta dell'8 agosto 2000 per argomentare l'accoglimento dell'osservazione n. 231 in occasione dell'emanazione della Delib. n. 45/c/2000, adottata in pari data. E' stato inoltre il primo proponente dell'emendamento n. 5, approvato con Delib. n. 9/C del 18 aprile 2002 del Comune di Messina.

Il medesimo B., poi, è stato indicato dall'architetto Manlio M., dirigente del Dipartimento Politiche del Territorio del Comune di Messina, come colui che, dopo il giugno 2003, quando era Presidente del Consiglio comunale di Messina, aveva insistentemente e ripetutamente sollecitato le richieste di chiarimenti all'A.R.T.A. nell'interesse dei fratelli C.; il M. ha anche aggiunto che il B., a seguito delle sue obiezioni, aveva risposto che i C. erano suoi amici, e che lo stesso, dopo il parere negativo del C.R.U. del giugno 2003, si era da lui presentato in compagnia di F.G. e gli aveva detto che avrebbe fatto approvare l'osservazione n. 231 dall'ufficio regionale grazie ai suoi contatti politici e che la relazione tecnica da inviare alla Regione sarebbe stata corredata da calcoli redatti in modo informale dal P. (il M. ha pure riferito di aver riconosciuto la grafia del P.). In seguito, fu l'ufficio in quel momento facente capo al B., e cioè l'Ufficio di presidenza del Consiglio comunale di Messina, il destinatario della nota n. 19.471 del 31 marzo 2004, trasmessa via fax il giorno stesso della sua adozione, nonostante l'organo richiedente il "chiarimento" fosse il Dipartimento Politiche del Territorio del Comune, ed in assenza di prassi regionali in tal senso.

Dalle conversazioni oggetto di intercettazione ambientale, intercorse prima dell'emanazione della concessione n. (OMISSIS), rilasciata il 23 marzo 2006, emerge che il B. manifestò più volte al F. l'intenzione di contattare M.M., anche tramite il viceministro R.N. (conversazioni del 4 gennaio 2006 e del 9 gennaio 2006), o comunque di fare pressioni sullo stesso (conversazione del 25 gennaio 2006: "Sto andando da M. (...) Gli alzo le mani oggi io. Giuro"), contattò, d'intesa con il F. e previa costante sinergia con quest'ultimo, sia il M. sia l'architetto Pa. cui era affidata specificamente la pratica (conversazioni del 14 marzo 2006, del 15 marzo 2006 e del 16 marzo 2006), chiese al F. di "stare sopra a quello di Barcellona", soggetto che la sentenza identifica in A.G. (conversazione del 4 gennaio 2006), informò il coimputato di aver fatto telefonare al M. dall'onorevole R.N. (conversazione del 21 marzo 2006). La sentenza, nel precisare che queste conversazioni costituiscono preciso riscontro alle dichiarazioni del M., attribuisce inoltre ad una frase pronunciata dal F. nel corso della conversazione del 4 gennaio 2006 con il B. il riconoscimento all'attività di quest'ultimo di aver ottenuto un risultato insperato (il F., subito dopo il riferimento a "quello di Barcellona", ha affermato: "... Non me l'aspettavo, io l'avevo considerata archiviata...") e, però, da tenere sotto silenzio (alla risposta dell'interlocutore: "certo... che comunque il Piano Regolatore ne ha fatto cose, ah", il F. diceva: "sì, ma non parlare neanche a te stesso").

L'intervento del B. nel "perorare" la "causa" dei fratelli C. su richiesta del F. è confermata anche dalle dichiarazioni di G.A., coimputato che ha definito con sentenza ex art. 444 c.p.p. il procedimento a suo carico: il G. ha riferito di aver appreso dal F. che il B. si sarebbe interessato della questione sia nell'ambito dell'attività del Consiglio comunale, sia con riferimento all'attività degli organi regionali, e di aver appresso dal B. in persona che lo stesso aveva interessato l'onorevole R. quando, ottenuto il mutamento di destinazione urbanistica del terreno, tardava il rilascio della concessione edilizia. Dell'intervento del B. per ottenere l'approvazione della variante in località (OMISSIS) riferisce, ancora, tale G.A., il quale, nel raccontare quanto a sua conoscenza circa i rapporti e le collusioni tra politici, imprenditori e funzionari pubblici, afferma che proprio il B. gli aveva detto di essersi interessato per la risoluzione dei problemi di edificabilità in tale area e, in linea generale, si era vantato di poter influire sull'attività degli organi della Regione. Anche l'architetto Pa., cui fu attribuito il compito di svolgere l'attività istruttoria sulla pratica dopo la nota n. 19.471 del 31 marzo 2004, e che seguì il successivo iter amministrativo fino a sottoscrivere, unitamente ad altri, la concessione n. (OMISSIS), ha detto di essere stato ripetutamente sollecitato dal B. e dal P. (" P. lo fece circa cinque volte, B. almeno sette volte").

La sentenza impugnata, nel descrivere le condotte del B., rappresenta che la nota n. 19.471 del 31 marzo 2004 non fu "l'unico atto su cui si fonda il reato di cui all'art. 319 c.p.", ma si pone come momento conclusivo di un'opera di condizionamento operata da B.U. sui funzionari regionali", desumibile dalle dichiarazioni del G. e del M., dalla intercettazioni telefoniche, dall'invio del fax che dava notizia al suo ufficio dell'atto emesso dal D.R.U. in assenza di ragioni alternative plausibili.

8.3. Il P., funzionario tecnico in servizio presso l'ufficio Area Coordinamento Politica del Territorio del Comune di Messina (ex Dipartimento Politiche del Territorio), è indicato nella sentenza impugnata come autore di molteplici interventi sulla pratica; secondo le dichiarazioni del G., il P. fu la persona interessata in origine dal commendatore C. per ottenere l'edificabilità dei suoli di sua proprietà, nonchè colui che indirizzò quest'ultimo dall'avvocato Fortino Giuseppe.

Il P. non solo ha predisposto i calcoli da allegare al ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia per conto dei fratelli C., come affermato dal M.. Dalle conversazioni telefoniche intercettate, il ricorrente in discorso risulta aver contattato numerose volte il F. ed il G. nella fase immediatamente precedente il rilascio della concessione. In particolare, egli fu informato, in data 16 dicembre 2005, dal F. della stipula del contratto tra i fratelli C. e la S.A.M.M. Costruzioni s.r.l. facente capo a A.G., con le parole "Habemus papam", alle quali aveva replicato: "Oh E io aspettavo proprio habemus papam, Finalmente". Nel successivo volgere del tempo, il P. si impegnò con il F. a sollecitare uno dei funzionari incaricati di trattare la pratica, l'ingegnere S.N., e diede poi immediatamente notizia del suo intervento (conversazioni del 13 marzo 2006); nelle date del 14, del 15 e del 21 marzo 2006, il P. interloquì costantemente con il F. ed il G. (soprattutto con il primo) in ordine all'evoluzione della pratica poi sfociata di lì a qualche giorno nella concessione n. (OMISSIS) ed affermò di aver contattato anche l'ingegnere Pa., da lui definito capo ufficio delle concessioni edilizie, e che sarà poi uno dei firmatari del precisato provvedimento amministrativo, nonchè di essersi recato dallo stesso in compagnia dell'ingegnere A.S., figlio dell'imprenditore A.G.. La conferma delle sollecitazioni del P. sul Pa. nel corso della pratica è poi offerta proprio dalle dichiarazioni di quest'ultimo, il quale ha detto che il P. gli segnalò la pratica "circa cinque volte".

Ancora, secondo le dichiarazioni del M., il P. era solito intrattenersi sul posto di lavoro con il G. ed il F. ed affermava di essere una sorta di consigliere tecnico del F. in materia edilizia.

9. Per quanto riguarda gli accordi economici ed i pagamenti, la sentenza evidenzia operazioni raggruppabili in tre momenti diversi, tra loro in successione.

9.1. La prima regolamentazione economico-giuridica di cui viene dato conto è quella intercorsa tra il ricorrente F. e l'ingegnere D.G..

In proposito, la Corte d'appello rappresenta che il D., sentito ex art. 210 c.p.p. davanti ad essa, ha dichiarato di aver stipulato, in data 31 luglio 2001, un accordo avente ad oggetto degli appartamenti da cedere in parte ai C. ed in parte al F., e di aver trasferito la sua posizione contrattuale a A.G., in cambio di 700.000 Euro; ha anche aggiunto che, nel cedere la sua posizione all' A., aveva rappresentato allo stesso che il F. avrebbe chiesto la liquidazione della sua quota in parte in denaro ed in parte in appartamenti, anche se l'accordo era relativo esclusivamente agli appartamenti. Ha precisato, in particolare, che la proposta di stipulare l'accordo gli era venuta dal F., con il quale era entrato in contatto attraverso il G., e che detto contratto era subordinato alla condizione del mutamento di destinazione urbanistica del terreno da zona C4 a zona B. Ha poi detto che il F., nel settembre 2001, in ragione dell'attività spiegata per ottenere il mutamento di destinazione d'uso del suolo, ed adducendo di dover presentare un ricorso, gli aveva chiesto la somma di 200.000.000 di Lire, contemporaneamente precisandogli di non volersi rivolgere ai fratelli C., gli aveva proposto anche in cambio un suo appartamento, ed aveva ottenuto la formalizzazione dell'impegno nel 2004, dopo il mutamento di destinazione d'uso. Ha inoltre affermato che egli aveva trasferito la sua posizione contrattuale all' A. non essendo nelle condizioni economiche necessarie per fronteggiare gli impegni assunti, e nonostante si trattasse dell'"affare della sua vita", posto che il mutamento di destinazione d'uso consentiva di realizzare circa 200 appartamenti, a fronte dei 20/40 realizzabili con l'indice di edificabilità C/4, e di sostenere minori spese di urbanizzazione, con conseguenti ricavi pari, al lordo, a circa 60 miliardi di Lire, e, al netto anche delle permute, a circa 30 miliardi di Lire.

Altri accordi precedenti alla stipula del contratto tra i fratelli C. e la società S.A.M.M. Costruzioni s.r.l. facente capo a A.G., sono evidenziati nei documenti rinvenuti e sequestrati all'atto dell'arresto del F.. 1- In particolare, vi sono tre atti in cui il D. si riconosce debitore per l'attività professionale svolta dal F. dapprima per 100.000 Euro (in data (OMISSIS)), poi per 125.000 Euro (in data 25 novembre 2004), quindi per 133.000 Euro (ancora in data 25 novembre 2004); risultano, inoltre, due scritture private datata 16 novembre 2005, con le quali l' A. si obbliga a corrispondere prima 1.680.000 Euro e poi 1.600.000 Euro, da versare a rate, secondo scadenze prefissate, a persona il cui nome è lasciato in bianco.

Vi sono, ancora due preliminari di vendita, entrambi datati 16 novembre 2005, ed intercorrenti tra il F. e l' A., che attengono a due appartamenti da realizzare sul terreno originariamente di proprietà dei fratelli C., ed asseverano che il F. aveva già anticipatamente corrisposto il prezzo pattuito. Secondo le dichiarazioni del G., si trattava di documenti relativi ad operazioni non regolari, che non potevano essere invocate davanti ad un giudice per ottenere pagamenti.

Il contratto tra i fratelli C. e la società S.A.M.M. Costruzioni s.r.l., stipulato in data 6 dicembre 2005, prevedeva, tra l'altro, la corresponsione della somma di 1.000.000 Euro ai fratelli C., anche se essi non percepirono mai tale somma, ed anzi, si stabilì che essi avrebbero ricevuto come corrispettivo diciotto appartamenti ed alcuni garages. C.P. ha dichiarato che tale anomala clausola gli fu imposta sia da A.G., sia dall'avvocato Fortino, che pure era il legale di fiducia suo e dei suoi familiari. Secondo la sentenza impugnata, attraverso questo stratagemma si consentì all' A. ed ai suoi soci di "creare un vero e proprio "fondo nero", da cui attingere denaro del quale non si voleva che rimanesse traccia all'esterno".

9.2. Per il periodo intercorso tra la stipulazione del contratto tra i fratelli C. e la società S.A.M.M. Costruzioni s.r.l., ed il rilascio della concessione n. (OMISSIS), dalla sentenza impugnata emergono plurime indicazioni circa l'interesse economico del F., del B. e del P. nell'affare.

Dalle conversazioni intercettate, e precisamente da una conversazione in data 6 dicembre 2005, si evince che il F. si impegnò a mettere a disposizione del B. l'atto di appalto stipulato tra i fratelli C. e gli A. in quello stesso giorno. La notizia della conclusione del contratto di appalto, inoltre, fu data il 16 dicembre 2005 dal F. al P. con le parole "Habemus papam", alle quali il secondo aveva replicato: "Oh E io aspettavo proprio habemus papam, Finalmente" ed aveva ringraziato l'interlocutore per il "lavoraccio".

Nei giorni successivi, il F. ebbe continui contatti con A.G. per la consegna di denaro, e, in data 2 gennaio 2006, si lamentò con lo stesso perchè i costruendi appartamenti originariamente previsti per lui e per il G. erano stati già venduti, sicchè gli rimanevano solo appartamenti ubicati al primo piano.

In data 15 marzo 2006, il F. ed il P. parlarono degli esiti economici derivanti dal futuro rilascio della concessione, ed il secondo chiese al primo se si sarebbe preso "un appartamento" nel luogo da lui prescelto; il F. disse di avere un preliminare, ed il P. gli replicò: "(OMISSIS), fai la registrazione come la farò pure io".

9.3. Per l'epoca successiva al rilascio della concessione n. (OMISSIS), ancor più chiari, secondo la sentenza impugnata, sono i riferimenti alla regolazione economica dell'affare tra i "mediatori" F. e G. ed i pubblici ufficiali B. e P..

Si rappresenta, innanzitutto, che il F. ed il B., in diverse conversazioni intercettate (conversazioni del 29 marzo 2006 e del 3 aprile 2006), utilizzando un linguaggio criptico, parlano ripetutamente di denaro, consegnato o da consegnare dal primo al secondo, come riconosciuto nell'esame dibattimentale dallo stesso B., che però ha riferito la ricezione delle somme ad un prestito; che questo denaro provenisse da A. e fosse destinato anche a B. e a P., risulta da una conversazione intercettata tra il F. ed il G. (conversazione del 4 aprile 2006). Si segnala, poi, che, nelle conversazioni intercettate tra il 4 ed il 5 aprile 2006, il G. ed il P. discussero su come ripartire le spese per la perizia geologica presentata a sostegno dell'osservazione n. 231, e si dissero che le stesse, per come concordato in origine, dovevano gravare su loro due, sul F. e sui fratelli C., e che, però, a seguito del rifiuto di questi e della indisponibilità dell'imprenditore Giovanni A., era stato chiamato a contribuire anche il B.. Si richiama, inoltre, il contenuto della conversazione captata nello studio del F. tra questi ed il G., in data 24 aprile 2006, nel corso della quale i due ricapitolano le dazioni di denaro; in particolare, il G. ricostruisce i pagamenti effettuati al P. per complessivi 35.000 Euro, sia specificando di aver corrisposto le somme in tranches di 5.000 Euro, sia indicando i luoghi delle avvenute consegne, ed i due riconoscono di dover versare al funzionario pubblico in questione ancora 61.000 Euro, in considerazione del conguaglio da operare con gli appartamenti al medesimo attribuiti.

La sentenza evidenzia che il significato dato a queste conversazioni è confermato dalle ammissioni dello stesso G. e dalle annotazioni presenti su un'agenda a questo sequestrata. Il G., a dibattimento, dopo le contestazioni di dichiarazioni rese in fase di indagini, ha precisato che le somme portate dall' A. al F. venivano ripartite tra quest'ultimo, lui, il P. ed il B. "per l'interessamento là della pratica, dell'emendamento, adesso non mi viene la parola" ed ha dichiarato che l'imprenditore A.G. si era impegnato a trasferire tre appartamenti a F., tre appartamenti a P. ed un appartamento a lui; su un'agenda sequestrata al G., sono annotate cifre indicate accanto alle lettere "P", "T", "P" e "U", che, come riconosciuto dal medesimo, si riferivano ora al P. ora al F. ("(OMISSIS)" F.) quando affiancavano la lettera "P", a lui quando affiancavano la lettera "T" ( G.T.), ed al B. quando affiancavano la lettera "U" ( B.U.).

Anche con riferimento alla ulteriore evoluzione dei rapporti tra privati e pubblici ufficiali, la Corte d'appello offre specifiche indicazioni.

Si riporta il contenuto di una conversazione intercorsa il 6 giugno 2006 tra il P. e A.G., durante la quale il primo, informato dal G. della interruzione dei lavori, chiese all'imprenditore le ragioni di questa stasi, e poi gli domandò di realizzare un ascensore panoramico nel palazzo in cui doveva essere sistemato l'appartamento di sua spettanza.

Si dà conto, poi, delle risultanze delle intercettazioni telefoniche ed ambientali e dei pedinamenti operati dalla polizia giudiziaria nei giorni (OMISSIS), per evidenziare il passaggio di denaro dal F. al B., e l'attività di occultamento delle somme da parte di quest'ultimo. Precisamente, in data 11 agosto il B. contattò il G. e gli chiese di vedersi il giorno seguente, e questi gli riferì della necessità di fissare l'incontro non in mattinata, ma solo nel pomeriggio, perchè egli non aveva "i libri". Il pomeriggio del 12 agosto, il B. si recò sotto l'abitazione del F. e venne raggiunto da quest'ultimo, il quale, dopo essersi incontrato poco prima con l' A., gli consegnò nell'occasione una busta, come documentato anche fotograficamente dalla polizia giudiziaria; subito dopo, il B. raggiunse il fratello M. e, come emerge dalle intercettazioni ambientali, gli consegnò

"settemilaquattrocento Euro", gli preannunciò futuri incassi per altri diecimila Euro "il sei, sette settembre", e gli chiese di versare i soldi in banca, anche tramite il padre e la madre, perchè lui non poteva provvedervi direttamente ("lo sai, ora fanno i controlli").

10. La sentenza impugnata, ancora, indica una pluralità di elementi sulla base dei quali ha desunto la consapevolezza degli imprenditori A.G., S.A. e M.G. circa l'illiceità dell'operazione posta in essere con i coimputati.

10.1. Per quanto riguarda l' A., vengono richiamati, innanzitutto, i continui contatti telefonici intercorsi tra lo stesso e, in qualche occasione, il figlio S., da una parte, e il F., dall'altra, a partire dal 12 dicembre 2005.

In particolare, per quanto riguarda le fasi immediatamente precedenti e successive alla stipula del contratto tra i fratelli C. e la S.A.M.M. Costruzioni s.r.l., sono riportate diverse conversazioni tra il F. e A.G.. In una conversazione del 12 dicembre 2005, il professionista evidenzia all'imprenditore la propria impazienza a sottoscrivere l'accordo anche "perchè io ci ho una serie di problemi, di impegni con le persone e non" e da quel momento in poi formula allo stesso continue richieste di denaro.

L' A., dal canto suo, riferisce più volte al F. i rilievi e le obiezioni dei suoi soci ai calcoli compiuti dal legale in relazione alle somme da corrispondere e alle modalità di pagamento: segnatamente, nelle conversazioni del 13 dicembre, l'imprenditore, a fronte della quantificazione della somma di 1.680.000 Euro, e della richiesta del conteggio degli "appartamenti", replica: "Noi li abbiamo definiti con lei, avvocato, precisi", mentre nella conversazione del 14 dicembre rappresenta che i suoi soci non sono disponibili a versare contanti.

Anche nei giorni immediatamente precedenti il rilascio della concessione, avvenuto il 23 marzo 2006, si verificano numerosi contatti. In data 8 marzo 2006, l' A., a fronte dell'ennesima sollecitazione a versare denaro, rappresenta la necessità di avere "il numero della concessione edilizia per inserirla nel compromesso", evidenziando che anche "i signori M." gli avevano detto di voler regolare i conti non appena sarebbero arrivati i soldi da parte dei promissari acquirenti degli appartamenti da realizzare; la sentenza sottolinea che queste richieste dell' A. spiegano le incessanti pressioni poste in essere da F., B. e P. sui funzionari del Comune di Messina per ottenere il rilascio della concessione. Il 16 marzo 2006, il F., parlando con l'ingegnere A.S., figlio di G., si lamenta dei ritardi dei pagamenti, dicendo che "(...) quando ci sono degli obblighi e delle..., e delle..., e delle obbligazioni si intendono..., si devono rispettare. Perchè io ho..., come lui ci ha le sue, io ci ho le mie nei confronti di altre persone", e rappresentando che l'imprenditore "Ci ha dei soci, li prende per la collottola e fanno il loro dovere, perchè questo è il loro dovere"; la Corte d'appello commenta che queste parole costituiscono una confessione del F. e l'indicazione del pieno coinvolgimento dei soci dell' A. nell'illecita operazione. Nella stessa data, il F., con successive telefonate intercorse con Salvatore A., informa l'interlocutore degli interventi effettuati e programmati dal coimputato B., in sinergia con lui, sui funzionari del Comune di Messina, e, in particolare sul Pa. e sul M., e poi minaccia di registrare i preliminari se non verranno rispettati gli "impegni" da parte dei soci del padre (" M. e compagni").

10.2. La documentazione sequestrata all' A., sempre secondo quando rappresenta la sentenza impugnata, riporta vari conteggi e somme, con programmi di versamento fino al luglio 2007, e per un totale di 1.680.000 Euro, nonchè annotazioni del tipo "appartamenti per amici" e "bisogna individuare gli appartamenti degli amici".

I giudici di appello hanno ricostruito le seguenti dazioni: tra il 3 ed il 4 aprile 2006, l' A. ha consegnato al F. la somma di 50.000 Euro, suddivisa per 20.000 Euro a F., 20.000 Euro a G., 5.000 Euro a P. e 5.000 Euro a B.; il 12 aprile 2006, l' A. ha consegnato al F. la somma di 30.000 Euro, suddivisa per 10.000 Euro a F., 10.000 Euro a G., 5.000 Euro a P. e 5.000 Euro a B.; il 14 aprile 2006, l' A. ha consegnato al F. la somma di 20.000 Euro, trattenuta interamente dal F.; il 24 aprile 2006, l' A. ha consegnato al F. la somma di 20.000 Euro, suddivisa per 12.500 Euro a F. e 7.500 Euro a G.; in data 12 agosto 2006, il F., ricevuta una somma non precisata dagli imprenditori, ha versato non meno di 7.400 Euro al B.; il (OMISSIS), l' A. ha consegnato al F. una ulteriore somma di denaro. Inoltre, dalle conversazioni intercettate, risulta che alla data del 24 aprile 2006, risulta che il P. aveva già ricevuto dal G. l'importo di 35.000 Euro, consegnategli in più rate da 5.000 Euro ciascuna.

10.3. Diversi elementi sono addotti anche per affermare che Antonino S. e G. M. parteciparono consapevolmente alla conclusione dell'accordo corruttivo ed alla sua realizzazione.

Innanzitutto, si rappresenta che il M. e lo S. costituirono con l' A. la S.A.M.M. Costruzione s.r.l. all'apposito fine di realizzare l'operazione edilizia sul fondo proveniente dai fratelli C.; il primo, inoltre, assunse l'incarico di legale rappresentante della società, mentre l'altro entrò nel consiglio di amministrazione della stessa. Vengono poi richiamate le conversazioni intercorse tra il F. e l' A., delle quali si è già detto e nelle quali più volte si è fatto cenno al ruolo dei due soci di quest'ultimo per i conteggi delle somme da corrispondere al primo e per il rifiuto di pagare, in un certo momento, in contanti.

Per quanto riguarda specificamente lo S., la sentenza segnala una conversazione telefonica del 17 marzo 2006, nella quale questi, anche facendo riferimento al M., parla con l' A. dei lavori e dei soldi da versare. Fa riferimento, poi, alla documentazione sequestrata presso il medesimo S.: tra questi atti, vi sono due ricognizioni di debito effettuate dall' A. in favore del F., una per l'importo di 2.500.000 Euro e l'altra per l'importo di 1.680.000 Euro, conteggi di somme con annotazioni recanti la dicitura "amici", ed un ulteriore appunto nel quale è scritto "Bisogna individuare gli appartamenti degli amici". Ancora, rilevante è una conversazione intercorsa il 25 gennaio 2006 tra l' A. e M.S., fratello di M.G., nonchè soggetto che aveva introdotto l' A. nell'affare"; nell'occasione, M.S. viene interpellato dall' A. sugli appartamenti da riservare a F. ed a P., e risponde che la questione può essere risolta solo con il consenso del fratello e dello S. ("cù me fratri e cù S.").

In riferimento al M., poi, i giudici di appello richiamano diverse conversazioni intercorse tra lo stesso e l' A. nonchè la conversazione appena richiamata tra quest'ultimo e M.S., in data 25 gennaio 2006. In particolare, il 14 marzo 2006, M.G., nel parlare dei pagamenti da effettuare al F., suggerisce ad A. di rispondere a F. che non è possibile pagare se non è disponibile il numero della concessione, necessario per stipulare i compromessi di vendita degli appartamenti da realizzare; nell'occasione, l' A. si lamenta di aver accettato di versare soldi invece di procedere esclusivamente alla permuta "e così erumu puliti tutti", e l'altro gli risponde che dall'altro lato vi erano state pressioni ("pressaru") per definire in questo modo l'affare e lo incoraggia ad andare avanti. Il 12 ed il 13 aprile 2006, A. e M.G. concordano analiticamente importi e modalità di versamento del denaro da consegnare al F..

10.4. La Corte d'appello, infine, espone specifici dati dai quali ha desunto la consapevolezza degli imprenditori anche in ordine alla illegittimità sostanziale che ha permesso il rilascio della concessione edilizia n. (OMISSIS).

Innanzitutto, del mancato accoglimento dell'osservazione n. 231 fino alla nota n. 19.741 del 31 marzo 2004 è consapevole A.G. sin dal momento in cui ufficialmente entra nelraffare". Di tale circostanza, invero, si dà formalmente atto nella "appendice al preliminare di permuta" (il preliminare è quello sottoscritto in data 31 luglio 2001 dai fratelli C. con la ditta D.G. costruzioni s.r.l.): detta "appendice", datata (OMISSIS), e stipulata tra i fratelli C., l'architetto D. e l' A., ricapitolava puntualmente l'iter della vicenda e collegava l'accoglimento dell'osservazione n. 231, con conseguente riconoscimento dell'indice di edificabilità pari a 5 mc/mq, alla nota n. 19.741 del 31 marzo 2004.

Inoltre, durante la conversazione del 3 aprile 2006, il F. informa l' A. delle spese da corrispondere per una perizia geologica presentata nel corso del procedimento per la classificazione urbanistica dell'area originariamente di proprietà dei fratelli C., e riceve in risposta non solo l'affermazione di estraneità a questa spesa, ma anche la collocazione temporale e funzionale della perizia: "Ah, allora quannu vui ci u facisti passari".

Ancora, dopo la diffusione della notizia dell'apertura dell'inchiesta sulle operazioni edilizie in Messina sul quotidiano (OMISSIS), l' A. si incontra con il F. nello studio di questi il giorno successivo. Nel corso della conversazione, oggetto di intercettazione ambientale, il F. si prodiga nel tranquillizzare l'interlocutore e definisce "inattaccabile" il programma edificatorio perchè "la licenza edile (...) non può essere revocata neanche se c'è una cosa, se ci dovesse essere un reato (...) resterà..., si colpisce chi ha fatto il reato, non (...) Qua c'è stato un piano regolatore che è stato fatto...". L' A. continua a dichiararsi perplesso, perchè c'è il rischio che gli inquirenti arrivino ad interrogare il D., e quindi aggiunge: "No, ma u problema, dico io, è... dicu, lei pensa che non c'è strascicu supra ‘stu discursu chi s'u fici passare edificabile?". Il F. gli replica che l'operazione è stata perfettamente regolare, e non "a raccomandazione", perchè la questione della classificazione urbanistica dell'area è stata risolta con il ricorso al Presidente della Regione, e non a Messina, sicchè "è un atto amministrativo perfetto", ma l' A. ribadisce che non gli è chiaro ciò che era avvenuto prima del suo ingresso nell'affare. Il F., sempre per tranquillizzare l'interlocutore, dopo aver detto: "lei ha visto che il terreno nostro è di fronte a quel gran fabbricato. Lei pensa che là poteva essere mai zona C?", alla domanda "quindi era zona C chiddu?", risponde: "Per passarlo da zona C a zona B, perchè c'erano tutti i parametri, quindi... dall'inizio è stato sempre zona C. Anzi prima era zona B, poi l'hanno passato a zona C e poi ci hanno riportato, dopo...".

Nonostante queste ed altre rassicurazioni fornite dal F., fondate anche sul richiamo alla sua serietà professionale, l' A. dice di non fidarsi neanche delle sue budella ("budeddu"), e ribadisce di non essere sicuro di quanto avvenuto in epoca precedente al suo ingresso nell'operazione.

La Corte d'appello rappresenta che una conferma del significato attribuito alle conversazioni intercettate è rinvenibile nelle affermazioni rese dell' A. nell'interrogatorio di garanzia e nelle spontanee dichiarazioni a dibattimento. L' A., infatti, ha riferito che i ventuno appartamenti dovuti a F. "non erano certo onorari ma era un affare di F. che in questa operazione era il maestro di musica", che egli aveva accettato l'affare perchè lo aveva reputato "molto conveniente", e che "non so a chi sono andati i soldi e non volevo sapere. Ho capito che F. divideva con altri perchè per tutto quanto io gli dovevo dare mi sono immaginato che non poteva essere solo per lui".

11. A fronte di questa ricostruzione, le difese degli imputati, con riferimento al ritenuto reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, muovono doglianze che presentano, in parte, profili comuni, e, in parte, profili attinenti alle singole posizioni.

11.1. La difesa di F.G. lamenta, nel sesto motivo, che non è configurabile il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, perchè l'atto asseritamente mendace, la nota n. 19741 del 31 marzo 2004, è riferibile a funzionari regionali, cui non è stata mai imputato il delitto di cui all'art. 319 c.p., ed è stata emessa quando l' A. era ancora estraneo all'affare, perchè l'iter procedimentale diretto alla classificazione urbanistica dell'area è stato corretto, e perchè, comunque, il P. ed il B., non hanno esercitato alcuna funzione pubblicistica in ordine alla procedura culminata con il rilascio della concessione. Lamenta inoltre, nel quarto motivo, che sarebbe stato comunque necessario assumere i tre testi da essa indicati, perchè si sarebbe dimostrato che il ricorrente aveva conosciuto il B. solo alla fine del 2003 e l' A. solo nell'agosto 2004, e che, inoltre, nel 2005, aveva chiesto un prestito per aiutare il B. ad affrontare le spese necessarie per la campagna elettorale del novembre di quell'anno. Lamenta ancora, nel terzo motivo, che la condotta del F. era sussumibile nella fattispecie di cui all'art. 321 c.p. e non in quella di cui all'art. 319 c.p., come invece ritenuto in sentenza.

11.2. La difesa di Umberto B. contesta, innanzitutto, nel secondo motivo, l'affermazione della irregolarità o illegittimità dell'iter amministrativo dal quale è derivata la concessione n. (OMISSIS). Deduce, poi, nel terzo motivo, che il ricorrente agì nell'esercizio dei poteri di Consigliere comunale, ed in epoca ben precedente all'ingresso dell' A. nellmaffare", non ha ricevuto appartamenti ed ha conseguito solo modeste somme a titolo di prestito in un momento di difficoltà economica, rimessegli dal F. in coincidenza dei versamenti dell' A. solo perchè detti importi incrementavano le disponibilità economiche del legale. Lamenta, inoltre, nel quarto motivo, che non è stato individuato il momento in cui fu stipulato l'accordo corruttivo, che non vi è prova di contatti tra il B. ed alcuno dei coimputati in epoca anteriore alle Delib. del Consiglio comunale di Messina del 2000 e del 2002, che l' A. subentrò al D. diversi mesi dopo la nota n. 19.471 del 31 marzo 2004, e che le condotte del ricorrente successive al 23 novembre 2005 sono quelle di un privato cittadino, poichè in quella data lo stesso non fu rieletto consigliere comunale.

11.3. La difesa del P. assume, innanzitutto, nel secondo motivo, l'estraneità del medesimo al falso ideologico commesso mediante la redazione della nota n. 19.471 del 31 marzo 2004, rilevando che alcun indizio può desumersi dalla collaborazione del tecnico alla predisposizione del ricorso straordinario indirizzato dall'avvocato F. al presidente della Regione Sicilia. Contesta, poi, nel terzo motivo, che la redazione dei calcoli utilizzati nel ricorso straordinario e le sollecitazioni ai colleghi dell'Ufficio Tecnico del Comune di Messina siano da qualificarsi atti contrari ai doveri di ufficio: i primi, elaborati a titolo amicale, non hanno sortito alcun effetto sull'esito della pratica, mentre i secondi attenevano ad un atto dovuto, che fu emesso con notevole ritardo, e non hanno pregiudicato la trattazione di altre pratiche; del resto, i compensi in denaro ed appartamenti, sono riferibili all'aver messo in contatto i C. con il F. ed al contributo fornito per l'elaborazione dei calcoli riportati nel ricorso straordinario, tanto più che il P. non risulta aver partecipato ad alcun accordo, a partire da quello stipulato con il D.. Osserva, ancora, nel quinto motivo, che la Corte d'appello avrebbe dovuto in ogni caso dichiarare la prescrizione nei suoi confronti, perchè l'ultima dazione a lui diretta risale al 12 aprile 2006, mentre non è chiaro a chi fosse destinata la somma ricevuta da F. nell'aprile 2007. Censura, infine, nel settimo motivo, la qualificazione giuridica ritenuta dai giudici di merito in riferimento al reato a lui ascritto, al più essendo la sua condotta sussumibile nelle fattispecie di corruzione per atto dell'ufficio o di traffico di influenze illecite.

11.4. La difesa dell' A. contesta, innanzitutto, nel terzo motivo, che l'iter procedimentale, anche in relazione alla classificazione urbanistica dell'area di proprietà dei fratelli C., era corretto, così come indicato nel parere dell'Avvocatura dello Stato. Deduce, poi, nel quarto motivo, che l' A. era subentrato nella vicenda diversi mesi dopo la precisata definizione della destinazione urbanistica, che la volontà di pagare solo dopo il rilascio della concessione edilizia era dovuto alla necessità di reperire liquidità stipulando preliminari di vendita relativi agli appartamenti da realizzare e ricevendo i relativi acconti, e che non vi erano elementi dai quali desumere la consapevolezza nel ricorrente di corrispondere compensi illeciti, tanto più che la buona fede del medesimo doveva ritenersi dimostrata proprio dal contenuto della conversazione ambientale del 18 maggio 2006, che si assume oggetto di travisamento della prova, in quanto in realtà comprovante, in ragione della richiesta di spiegazioni al F., la mancata partecipazione dell'imprenditore a pattuizioni illegali.

11.5. La difesa del M. e dello S. critica, innanzitutto, nel primo motivo, il rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in relazione ad un nuovo esame del M. ed all'esame della consulenza tecnica depositata sulla destinazione urbanistica da riconoscere all'area interessata dalla vicenda. Lamenta, nel secondo motivo, che non vi sono elementi di alcun genere idonei a comprovare l'esistenza di contatti tra il M. e lo S. con i pubblici ufficiali P. e B., e nemmeno con il D., che gli stessi sono entrati nell'operazione diversi mesi dopo la definizione della destinazione urbanistica del fondo interessato, e che i due imprenditori, anzi, avevano tutte le ragioni per ritenere le dazioni delle somme e degli immobili funzionali all'adempimento della permuta con i fratelli C.. Contesta, nel terzo e nel quarto motivo, che, in ogni caso, la concessione n. (OMISSIS) era conforme alla.... legge, sicchè, al più la corruzione era per atto dell'ufficio, e che la nota n. 19.471 del 31 marzo 2004 era una mera nota di chiarimenti.

12. L'esame delle doglianze precedentemente sintetizzate presuppone alcune premesse sulle nozioni di atto dell'ufficio e di atto contrario ai doveri di ufficio, nonchè sulla cessazione della qualità di pubblico ufficiale, anche ai fini di una definizione dei confini tra la figura della corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio e le fattispecie di corruzione per atto dell'ufficio e di traffico di influenze illecite.

Presuppone, inoltre, una puntualizzazione di carattere generale sulla portata dei doveri di rinnovazione istruttoria da parte del giudice di appello.

12.1. Per quanto attiene alla nozione di atto dell'ufficio rilevante ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, è assolutamente consolidato l'orientamento giurisprudenziale, che il Collegio condivide, secondo cui è necessario e sufficiente che l'atto rientri nelle competenze dell'ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto (cfr., tra le tante: Sez. 6, n. 23355 del 26/02/2016, Margiotta, Rv. 267060; Sez. 6, n. 20502 del 02/03/2010, Martinelli, Rv. 247373, relativa ad una fattispecie estremamente prossima a quella in esame; Sez. 6, n. 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234359; Sez. 1, n. 4177 del 27/10/2003, dep. 2004, Napoli, Rv. 227100). Del resto, si è anche precisato che l'atto dell'ufficio non deve essere inteso in senso strettamente formale, ma può essere integrato anche da comportamenti m.li costituenti esplicazione dei poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata (così Sez. 5, n. 36859 del 16/01/2013, Mainardi, Rv. 258040, che ha ritenuto atto dell'ufficio, sia pure rilevante ai fini della configurabilità della corruzione impropria, anche il sollecito telefonico per favorire lo "sblocco" di pratiche).

Ciò che resta estraneo alla nozione di "atto di ufficio", in questa prospettiva, è solo la condotta commessa "in occasione" dell'ufficio, ma non implicante lo svolgimento di poteri funzionali connessi alla qualifica soggettiva dell'agente, come, ad esempio, quella integrata dalla redazione di ricorsi amministrativi da parte del dipendente di un Comune nell'interesse di privati contro sanzioni irrogate dall'ente locale (Sez. 6, n. 7731 del 12/02/2016, Pasini, Rv. 266543), o quella costituita dalla "segnalazione" indirizzata a soggetti appartenenti ad amministrazioni pubbliche estranee a quella presso la quale operava il "segnalante" (Sez. 6, n. 38762 del 08/03/2012, D'Alfonso, Rv. 253371).

12.2. Per quanto concerne la nozione di atto contrario ai doveri di ufficio, occorre premettere che la giurisprudenza prevalente ravvisa la sussistenza della prima delle fattispecie di cui all'art. 319 c.p. sia quando ricorre uno stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, pur se mediante atti non predefiniti, nè specificamente individuabili ex post (cfr., in questo senso, Sez. 6, n. 6056 del 23/09/2014, dep. 2015, Staffieri, Rv. 262333, nonchè Sez. 6, n. 47271 del 25/09/2014, Casarin, Rv. 260732, nonchè ancora Sez. 6, n. 9883 del 15/10/2013, dep. 2014, Terenghi, Rv. 258521; v., invece, per la soluzione contraria, Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, Chisso, Rv. 261352), sia allorchè poteri discrezionali istituzionalmente spettanti siano esercitati operandosi la rinuncia ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato (v. in particolare: Sez. 6, n. 23354 del 04/02/2014, Conte, Rv. 260533; Sez. 6, n. 24656 del 18/06/2010, Cosentino, Rv. 248001, mass. per altri profili; Sez. 6, n. 36083 del 09/07/2009, Mussoni, Rv. 244258; Sez. 6, n. 12237 del 23/01/2004, Di Donato, Rv. 228378).

La sussumibilità della condotta del pubblico ufficiale che si pone in condizione di stabile asservimento ad interessi privati nella fattispecie prevista dall'art. 319 c.p., e non invece in quella contemplata dall'art. 318 c.p., viene affermata dall'indirizzo più diffuso sia perchè la contrarietà dell'atto o dell'attività al dovere di ufficio si individua alla luce non tanto di una verifica della astratta legittimità formale degli stessi, quanto, essenzialmente, delle modalità dell'azione e degli scopi perseguiti, sia perchè risulta difficilmente compatibile con i principi di gradualità dell'offesa, ragionevolezza e proporzionalità della pena, desumibili dagli artt. 3 e 27 Cost., la previsione di un trattamento più "mite" per il pubblico funzionario stabilmente infedele, che pone l'intera sua funzione e i suoi poteri al servizio di interessi privati per un tempo prolungato, con contegni di infedeltà sistematici, rispetto a quello riservato al pubblico ufficiale che compie per denaro o altra utilità un solo suo atto contrario all'ufficio (per questi rilievi, cfr. specificamente Sez. 6, Terenghi, cit.). La soluzione contraria, invece, muove dal rilievo secondo cui il delitto previsto dall'art. 318 c.p. costituisce reato di pericolo per il corretto svolgimento della funzione, a differenza di quello di cui all'art. 319 c.p., il quale, invece, integra fattispecie di danno (così Sez. 6, Chisso, cit.).

Se queste sono le ragioni poste a base dei due diversi orientamenti, non sembrano sussistere convincenti ostacoli alla configurabilità della fattispecie di cui all'art. 319 c.p. quando sia possibile individuare, oltre ad un rapporto di stabile asservimento del pubblico ufficiale, uno o più atti dello stesso che, pur se formalmente legittimi, si conformino all'obiettivo di realizzare l'interesse del privato, nonostante questa non sia una soluzione necessaria. In tali casi, infatti, perde completamente rilievo l'obiezione che argomenta dalla natura di danno o di pericolo delle due fattispecie incriminatrici: l'effettivo esercizio di poteri pubblici nel contesto di una logica globalmente orientata alla realizzazione di interessi diversi da quelli istituzionali, salvo i casi limite di attività rigorosamente predeterminata nell'an, nel quando e nel quomodo, determina con immediatezza un pregiudizio per l'imparzialità ed il buon andamento dell'amministrazione, perchè implica l'impiego di strumenti e funzioni pubblicistiche al di fuori dei presupposti per i quali i medesimi sono stati prefigurati, e, quindi, si traduce in un "attuale" ed ingiustificato trattamento di privilegio in favore del beneficiario dell'azione indebitamente orientata.

Del resto, del tutto in linea con le considerazioni appena indicate si pone il principio secondo cui integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, in cambio di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali spettantigli omettendo di procedere ad una imparziale comparazione degli interessi da valutare, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere ex post con l'interesse pubblico, con l'unica eccezione dell'atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento della funzione demandata. In effetti, come si è efficacemente evidenziato, il comportamento abdicativo del pubblico ufficiale di fronte al dovere di una corretta comparazione degli interessi rilevanti integra già di per sè l'omettere" di cui all'art. 319 c.p. (per tale osservazione, cfr., specificamente, in motivazione, Sez. 6, Cosentino, cit.).

Può perciò concludersi che si versa nel reato di corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio quando lo stabile asservimento del pubblico ufficiale si sia anche tradotto nel compimento, a vantaggio del privato, di uno o più atti formalmente legittimi, ma non rigorosamente predeterminati nell'an, nel quando o nel quomodo.

12.3. Con riferimento alla rilevanza della cessazione della qualità di pubblico ufficiale ai fini della configurabilità del delitto di corruzione, va ricordato che, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, possono essere integrati reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione anche quando il soggetto agente abbia ormai perduto la qualifica pubblicistica, sempre che il fatto da questi commesso si riconnetta all'ufficio già prestato (cfr., in particolare, Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256596, relativa a reati di concussione, ritenuti correttamente ascrivibili all'ex dirigente di una ASL che, per le sue relazioni, era in condizione di continuare ad incidere indebitamente sui procedimenti amministrativi di pertinenza dell'ente presso il quale aveva prestato servizio, ma anche Sez. 6, n. 20558 del 11/05/2010, Piepoli, Rv. 247394, in tema di omissione di atti di ufficio).

Tale orientamento, ad avviso del Collegio, deve essere confermato.

Invero, in forza del disposto di cui all'art. 360 c.p., la cessazione della qualità di pubblico ufficiale nel momento in cui è commesso il reato presupponente la posizione pubblicistica "non esclude l'esistenza di questo (...), se il fatto si riferisce all'ufficio o al servizio esercitato". Da questa previsione, risulta ragionevole inferire che ciò che conta è che il soggetto, continuando ad avvalersi di fatto della sfera di potere acquisita per effetto della qualifica pubblicistica precedentemente rivestita, determini un esercizio abusivo della funzione pubblica: anche in questo caso, infatti, lo svolgimento delle funzioni pubbliche è condizionato dall'interno", con nocumento per i beni giuridici di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione. In linea con la conclusione indicata, del resto, è anche il limite individuato in giurisprudenza all'operatività della regola di cui all'art. 360 c.p., con riferimento all'ipotesi in cui la qualifica soggettiva sia cessata ormai da anni (in tal senso v. Sez. 6, n. 7877 del 27/04/1992, Longo, Rv. 191083).

12.4. Relativamente alla delimitazione dei confini inerenti all'applicazione dei delitti di corruzione rispetto alla fattispecie di traffico di influenze illecite, occorre osservare, da un lato, che il concorso nel reato di corruzione può essere anche eventuale, in forza della clausola di estensione della punibilità di cui all'art. 110 c.p., e, dall'altro, che la disposizione di cui all'art. 346-bis c.p.. fissa esplicitamente un rapporto di sussidiarietà del reato da essa introdotto e quelli di cui agli artt. 319 e 319-ter c.p. ("fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli artt. 319 e 319 ter"). In linea con questa prospettiva, è stato anche precisato che il delitto di traffico di influenze, di cui all'art. 346 bis c.p., si differenzia, dal punto di vista strutturale, dalle fattispecie di corruzione per la connotazione causale del prezzo, finalizzato a retribuire soltanto l'opera di mediazione e non potendo, quindi, neppure in parte, essere destinato all'agente pubblico (cfr. Sez. 6, n. 29789 del 27/06/2013, Angeleri, Rv. 255618).

Di conseguenza, deve concludersi che risponde di corruzione, e non di traffico di influenze illecite, colui che pone in essere un'attività di intermediazione finalizzata a realizzare il collegamento tra corruttore e corrotto (per la configurabilità del delitto di corruzione in capo all'intermediario cfr. Sez. 6, n. 24535 del 10/04/2015, Mogliani, Rv. 264124 e Sez. 6, 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234361).

12.5. In ordine ai doveri di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale da parte del giudice di appello, è sufficiente richiamare il consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, secondo il quale il rigetto della relativa istanza si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilità (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 257741, nonchè Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, Messina, Rv. 245009), tanto che, anzi, deve ritenersi insindacabile anche il rigetto implicito, quando la sentenza evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo (così, tra le più recenti, Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, dep. 2014, Coppola, Rv. 259893).

13. Alla luce dei principi di diritto indicati, e degli elementi fattuali evidenziati nella sentenza impugnata, le censure formulate dai ricorrenti F., B., P., A., M. e S. risultano infondate.

13.1. Immune da vizi è la conclusione dell'illegittimità del contenuto della nota n. 19.471 del 31 marzo 2004, emessa dall'Unità operativa 4.1. del Dipartimento Regionale Urbanistica (D.R.U.), laddove affermava che "l'osservazione n. 231 deve ritenersi accolta".

Invero, il Decreto Dirigenziale n. 686 del 2 settembre 2002, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia, emanato tenendo conto di tutte le delibere del Consiglio comunale di Messina, ivi compresa quella del 18 aprile 2002, recante l'emendamento n. 5, approvò il P.R.G. precisando espressamente che le osservazioni ed opposizioni risultavano decise in conformità dei pareri resi dal Consiglio Regionale per l'Urbanistica (C.R.U.) con i voti n. 552 e 668. Inoltre, alla successiva richiesta di chiarimenti dell'Ufficio Tecnico del Comune di Messina sui rapporti tra l'approvazione dell'emendamento n. 5 e le osservazioni dei privati relative alle aree interessate dall'emendamento, non solo l'Unita operativa 4.1. del D.R.U., con proposta di parere n. 24 del 19 maggio 2003, fece "presente che a pag. 17 del Decreto n. 686/2002, al paragrafo tavola 19, le osservazioni sono state puntualmente decise e ad esse si rimanda" (e a pag. 17 sotto la voce tavola 19 si legge che alcune osservazioni, tra cui la 231, "non si accolgono, in conformità a quanto espresso dall'U.T.C."), ma tale parere venne formalmente condiviso dal C.R.U. con voto n. 146 del 25 giugno 2003, e fu recepito nel Decreto Dirigenziale n. 858 dell'8 luglio 2003.

Deve anzi aggiungersi ai profili concernenti l'illegittimità sostanziale del contenuto della nota n. 19.471 del 31 marzo 2004, una considerazione di carattere formale. Risulta, infatti, quanto meno singolare che la nota "interpretativa" fu adottata da un organo tecnico, l'Unità operativa 4.1. del D.R.U., il quale formulava solo proposte di pareri, che, a loro volta erano preliminari all'adozione del provvedimento amministrativo finale; tale considerazione si impone tanto più se si osserva che alla precedente richiesta di chiarimenti dell'Ufficio tecnico di Messina, avente identico contenuto, l'Unità operativa 4.1. del D.R.U. si era limitata ad esprimere una mera proposta di parere, poi esaminata dal C.R.U. e recepita con Decreto Dirigenziale. L'indicata "singolarità", in quanto di carattere formale e di immediata evidenza, avrebbe potuto essere rilevata in qualunque momento dell'iter amministrativo fino all'adozione della concessione n. (OMISSIS), così da determinare, quanto meno, una ulteriore impasse.

I rilievi esposti escludono ogni significato alle contrarie osservazioni espresse nel parere dell'Avvocatura dello Stato, evocato in particolare dalla difesa dell' A.. Del resto, non solo, in linea generale, i pareri dell'Avvocatura dello Stato non hanno di per se stessi efficacia preclusiva, in quanto debbono essere valutati per le argomentazioni esternate, ma, nel caso di specie, quello formulato in riferimento alla nota n. 19.741 non costituisce nemmeno atto endoprocedimentale, siccome contenuto nell'atto di costituzione dell'Assessorato regionale per il territorio e l'ambiente della Regione Sicilia (A.R.T.A.) nel presente processo penale, e per tutelare le ragioni della stessa, citata come responsabile civile per il reato di falso ideologico attribuito ai funzionari dell'Unità 4.1. del D.R.U.

13.2. Immune da vizi è la conclusione secondo cui B.U. ed P.A. compirono numerosi atti del loro ufficio in relazione alla procedura culminata nel rilascio della concessione n. (OMISSIS).

Atti di ufficio del B., innanzitutto, non sono solo le proposte di delibera o di emendamenti ed i voti espressi in quella sede quale Consigliere comunale. Atti dell'ufficio sono anche le pressanti sollecitazioni rivolte, dopo il giugno 2003, quando egli era Presidente del Consiglio comunale di Messina, all'architetto M. dirigente dell'Ufficio Tecnico (in un certo momento denominato Dipartimento Politiche del Territorio) del medesimo Comune affinchè fosse formulata richiesta di chiarimenti all'A.R.T.A. nell'interesse dei fratelli C. circa la sorte dell'emendamento n. 231 dopo i ripetuti provvedimenti negativi, nonchè le ulteriori insistite "spinte", nei primi mesi del 2006, per una rapida emanazione della concessione edilizia n. (OMISSIS), indirizzate nei confronti del medesimo M. e dell'architetto Pa., che, incaricato dell'istruttoria della pratica, e cofirmatario del provvedimento, ha riferito di essere stato avvicinato dal B. "almeno sette volte". Si è infatti evidenziato in precedenza che atti dell'ufficio sono anche i comportamenti materiali costituenti esplicazione dei poteri-doveri inerenti alla funzione concretamente esercitata (p. 12.1.), nonchè gli atti compiuti dopo la cessazione dal servizio, ma riferibili a quest'ultimo in quanto esplicazione della sfera di potere acquisita per effetto della qualifica pubblicistica precedentemente rivestita (p. 12.3.).

Per le stesse ragioni, atti di ufficio del P. sono le ripetute sollecitazioni, all'interno dell'Ufficio Tecnico del Comune di Messina, presso il quale prestava servizio, per il celere rilascio della concessione n. (OMISSIS), e che si concretizzarono quanto meno in "circa cinque" segnalazioni all'architetto Pa., che, come si è detto, era l'incaricato dell'istruttoria della pratica, e fu cofirmatario del provvedimento abilitativo.

Deve escludersi, invece, che costituisca atto dell'ufficio la predisposizione dei calcoli relativi all'edificabilità del suolo di proprietà dei fratelli C. ai fini della redazione del ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia avanzato dall'avvocato F.. Questo comportamento, invero, seppur deontologicamente scorretto o comunque altamente opinabile, non è collegato alle attività dell'ufficio, in quanto ha ad oggetto una "prestazione" che poteva essere fornita anche da un libero professionista. Peraltro, ai fini della configurabilità del reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, l'attività di redazione dei calcoli non risulta priva di significato, perchè legittimamente valorizzabile come fatto indicativo della precisa conoscenza dei problemi di "regolarità" della pratica sfociata nella concessione n. (OMISSIS).

13.3. Immune da vizi è la conclusione della qualificazione degli atti compiuti dal B. e dal P. come atti contrari ai doveri di ufficio.

Per quanto riguarda il B., e volendo prescindere dall'attività compiuta in relazione alle Delib. consiliari del 2000 e del 2002, legittimamente può ritenersi che tutta l'attività compiuta a partire dal 2003, e diretta dapprima ad ottenere l'ennesima richiesta di chiarimenti all'A.R.T.A. e poi a conseguire l'emanazione della concessione edilizia, costituì un'attività sistematicamente indirizzata alla soddisfazione di interessi privati, al di fuori di qualunque giuridica necessità, sì da presentarsi come estrinsecazione di un rapporto di stabile asservimento rispetto a tali interessi. Significativamente, invero, il B., nell'insistere con il M. perchè venisse formulata una nuova richiesta di chiarimenti all'A.R.T.A., dopo il parere negativo del C.R.U. del giugno 2003, non solo aveva risposto alle obiezioni del medesimo dicendo che i C. erano suoi amici, ma si era poi anche presentato in compagnia di F.G. ed aveva detto al dirigente amministrativo che egli avrebbe fatto approvare l'osservazione n. 231 dall'ufficio regionale grazie ai suoi contatti politici. Successivamente, il B. aveva continuato a seguire con "attenzione" l'evoluzione della vicenda, venendo il suo ufficio informato il giorno stesso, e al di fuori di prassi amministrative in tal senso, dell'emanazione della nota n. 19.471 del 31 marzo 2004.

Quindi, il B., nel corso di un periodo protrattosi per almeno tre mesi, dal gennaio al marzo 2006, aveva manifestato un quotidiano interesse per il rilascio della concessione, non esitando, pur di superare ritardi od ostacoli, far contattare l'architetto M. da un viceministro della Repubblica, l'onorevole R.. Non può trascurarsi, poi, che il rilascio della concessione n. (OMISSIS) sul presupposto di un illegale riconoscimento dell'indice di edificabilità di zona "B", implicante una capacità edificatoria pari a circa 200 appartamenti, a fronte dei 20/40 realizzabili con l'indice di edificabilità di zona "C/4", e minori spese di urbanizzazione, ebbe come ineliminabile presupposto proprio le pressanti sollecitazioni esercitate dal B. per richiedere l'ennesima richiesta di chiarimenti all'A.R.T.A..

Anche per quanto riguarda il P., può ritenersi corretta la qualificazione della sua attività come espressiva di un rapporto di stabile asservimento rispetto ad interessi privati. E' sufficiente richiamare i continui contatti, nei primi tre mesi del 2006, con i funzionari dell'Ufficio Tecnico del Comune di Messina suoi colleghi, come quello con l'ingegnere Santoro, o quelli con l'architetto Pa., incaricato dell'istruttoria della pratica per il rilascio della concessione, e poi cofirmatario del provvedimento, "circa cinque" a detta dello stesso, in una occasione anche accompagnandosi all'ingegnere A.G., figlio dell'imprenditore A.S., ed autore del progetto per il rilascio della concessione.

Che poi questa attività fosse specificamente collegata ad interessi privati è circostanza che può essere legittimamente avvalorata sia dal suo presentarsi in ufficio come consigliere tecnico del F., anche accompagnandosi allo stesso ed al G., e collaborando alla redazione del ricorso, sia dal giubilo manifestato alla notizia dell'accordo per la conclusione del contratto tra S.A.M.M. Costruzioni s.r.l. e la famiglia C., sia dai continui scambi di informazioni telefoniche con il F. ed il G. sull'evoluzione della pratica per il rilascio della concessione, sia ovviamente dalla promessa della consegna di più appartamenti all'esito della realizzazione delle opere edilizie, fornitagli già all'atto della stipula dell'appalto, e confermata nella conversazione telefonica del 25 gennaio 2006 tra l' A. e M.S.. Si può ancora aggiungere che legittimamente può inferirsi che il P. fosse perfettamente al corrente dei problemi di legittimità sostanziale della pratica sfociata nella concessione n. (OMISSIS), avendo redatto i calcoli per il ricorso straordinario al Presidente della Regione Sicilia avverso la classificazione dell'area come zona "C" invece che come zona "B".

13.4. Immune da vizi è la conclusione secondo cui la promessa e la dazione di utilità ai pubblici ufficiali P. e B. fu funzionale alla remunerazione del compimento di atti contrari ai doveri di ufficio e fu, almeno in parte, concordata prima del compimento di questi.

Con riferimento al B., è corretto ritenere che le dazioni di denaro costituirono il prezzo ed il compenso per l'illecita attività svolta, e non, invece, l'erogazione di un prestito concesso da un amico, non solo per la contiguità pressochè contestuale dei pagamenti ricevuti dal F. rispetto alle consegne di denaro effettuate a questi dall' A. (come avvenne ad esempio tra il (OMISSIS), ovvero il (OMISSIS)). Dalla sentenza impugnata, infatti, si evince la stretta correlazione temporale del pagamento effettuato tra il (OMISSIS) dal F. al B. ed il rilascio della concessione edilizia ottenuta il 23 marzo 2006, dopo le incessanti sollecitazioni compiute da quest'ultimo nei confronti dei funzionari comunali preposti alla pratica. Inoltre, non è privo di significato il modo in cui il B. ricevette ed occultò il denaro dal F. il (OMISSIS): non solo egli iniziò i contatti per incassare la somma con il G., e non direttamente con il F., ma si preoccupò di consegnare le somme ricevute al fratello, perchè, insieme con i genitori, provvedesse ad operazioni bancarie, giustificandosi di non poter provvedere direttamente perchè "lo sai, ora fanno i controlli". Ancora, coerente con la conclusione della sentenza impugnata, e dissonante con la tesi del prestito, è anche il dato dell'annotazione dei versamenti al B. da parte del G., unitamente a quelli effettuati a lui, al F. ed al P..

Può aggiungersi che è corretta anche la conclusione della corruzione propria antecedente, oltre che susseguente, innanzitutto perchè i pagamenti al B. da parte del F. con i soldi dell' A. iniziarono immediatamente dopo il rilascio della concessione, e, quindi, inducono a ritenere non manifestamente illogico l'assunto di una preventiva pattuizione e programmazione, specie in correlazione con le attività svolte nella fase immediatamente precedente. Inoltre, sono in linea con questa inferenza sia l'immediata comunicazione della notizia della stipula del contratto di appalto per l'edificazione dei suoi originariamente della famiglia C., che il F. diede al B. nel dicembre 2005, sia la programmazione da parte dell' A. e dei suoi soci, già (almeno) nel gennaio 2006, di attribuire degli appartamenti al coimputato P., sia la richiesta del B. al F. di "stare sopra a quello di Barcellona", soggetto che la sentenza identifica in A.G., nella conversazione del 4 gennaio 2006.

Anche con riferimento al P. è corretto ritenere che le dazioni e le promesse costituirono il prezzo ed il compenso per l'illecita attività svolta. Innanzitutto, le erogazioni complessivamente versate o promesse al P., e costituite dall'attribuzione di due appartamenti e di 96.000 Euro in denaro liquido, si presentano come assolutamente sproporzionate rispetto alla volontà di remunerare calcoli redatti informalmente e da inserire nel ricorso preparato dall'avvocato Fortino. Il pubblico ufficiale in questione, inoltre, risulta aver ricevuto con modalità assolutamente anomale somme per ben 35.000 Euro, e cioè mediante versamenti in contanti effettuati in più rate. Ancora, certamente non illogico è il legame tra queste somme e le "sollecitazioni" presso l'Ufficio Tecnico del Comune di Messina, precedenti di pochi giorni le prime dazioni in contanti, invece che tra le medesime somme ed un'attività informale compiuta quasi tre anni addietro (il ricorso straordinario dell'avvocato Fortino risulta datato 3 ottobre 2003). Corretta è poi la conclusione della corruzione propria antecedente, oltre che susseguente, a parte tutto, per la precisa promessa di corrispondere due appartamenti, effettuata dall' A. e dai suoi soci già (almeno) nel gennaio 2006. Non manifestamente illogica, infine, è l'affermazione della protrazione della condotta illecita del P. fino all'ultima data dei versamenti, e cioè sino al (OMISSIS), data dell'ultima erogazione di denaro dall' A. al F., atteso che, da quanto esposto in sentenza, al P. dovevano essere versati altri 61.000 Euro, e che i precedenti versamenti, per complessivi 35.000 Euro, erano stati erogati in più rate in contanti per importi di 5.000 Euro ciascuna, immediatamente dopo le dazioni effettuate dall' A. al F..

13.5. Immune da vizi è la conclusione che assume la cosciente partecipazione degli imprenditori A.G., M.G. e S.A. all'accordo corruttivo.

Per quanto riguarda l' A., detto risultato probatorio può ritenersi correttamente individuato già solo considerando le ammissioni rese dal medesimo in ordine alla consapevolezza che " F. divideva con altri perchè per tutto quanto io gli dovevo dare mi sono immaginato che non poteva essere solo per lui", ed alla sua decisione di accettare in ogni caso l'affare perchè lo aveva reputato "molto conveniente". Si può aggiungere che coerenti con l'approdo della sentenza sono i richiami effettuati alle conversazioni telefoniche: per ben due volte, il F., una volta parlando con A.G. (il 12 dicembre 2005), una volta parlando con A.S. affinchè riferisca il messaggio al padre (il 16 marzo 2006), chiede la corresponsione di somme, rappresentando di avere "obbligazioni" con "altre persone"; inoltre, sempre parlando con A.G. il 16 marzo 2006, il F. evidenzia l'intensa attività che per il rilascio della concessione sta svolgendo il B.. Ancora, ai fini della valutazione della "tenuta" logica della motivazione, non vanno trascurati, da un lato, gli impegni a trasferire appartamenti al P., assunti già (almeno) nel gennaio 2006, così come risultanti dalla conversazione telefonica intercorsa tra lui e M.S., e, dall'altro, la costituzione del "fondo nero" per il cospicuo importo di 1.000.000, attraverso l'imposizione, in concorso con il F., di una clausola "capestro" per gli eredi C., in forza della quale questi ultimi dichiaravano di ricevere tale importo, ma in realtà avrebbero dovuto conseguire solo beni immobili.

Per quanto concerne M.G. e S.A., poi, la conclusione risulta corretta tenendo presente che i due soci di A.G., almeno dal gennaio 2006 avevano preso l'impegno di trasferire appartamenti al P., ossia ad un funzionario di quell'Ufficio Tecnico del Comune di Messina che avrebbe dovuto rilasciare la concessione, come risulta sia dalla conversazione tra l' A. e M.S., sia dai documenti sequestrati presso lo S., e relativi a conteggi di somme con annotazioni recanti la dicitura "amici", o comunque contenti l'appunto "Bisogna individuare gli appartamenti degli amici"; inoltre, coerente con questa soluzione è la circostanza della creazione del "fondo nero" per l'importantissima somma di 1.000.000 di Euro, il cui uso non è stato in alcun modo giustificato. Con specifico riferimento a M.G., anzi, può aggiungersi che nella prospettiva accolta dai giudici di merito converge anche quanto emerso dalla sua conversazione con l' A., il 14 marzo 2006, quindi qualche giorno prima del rilascio della concessione n. (OMISSIS), quando quest'ultimo si lamentò di aver accettato di versare soldi invece di procedere esclusivamente alla permuta "e così erumu puliti tutti", ed egli rispose che dall'altro lato vi erano state pressioni ("pressaru") per definire in questo modo l'affare, ma incoraggiò l'interlocutore ad andare avanti.

Nè poi può dirsi che illegittimamente è stata ritenuta la sussistenza, anche a carico dei tre imprenditori, del reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, invece che di quello di corruzione per un atto d'ufficio, perchè gli stessi dovrebbero ritenersi in buona fede circa la regolarità dell'attività amministrativa posta in essere. La non manifesta illogicità della conclusione accolta nella sentenza impugnata è inferibile dalla cospicuità delle somme e delle utilità corrisposte: la dazione, in parte effettuata e comunque programmata, di liquidità per un importo pari a circa 1.680.000 Euro, nonchè di diversi appartamenti anche direttamente ad un funzionario della struttura amministrativa competente al rilascio della concessione, costituisce circostanza che rende correttamente sostenibile la consapevole finalizzazione delle erogazioni alla remunerazione di condotte contrarie ai doveri di ufficio, ed allo stabile asservimento dei pubblici ufficiali alla realizzazione di un interesse provato.

In questo senso, diventa irrilevante anche la questione posta dalla difesa dell' A. circa il travisamento della prova con riferimento alla conversazione del 18 maggio 2006 tra l' A. ed il F.. Invero, se anche l' A. fosse stato in buona fede circa la legittimità sostanziale della concessione n. (OMISSIS), resterebbe la consapevolezza di aver retribuito le condotte di stabile asservimento dei pubblici ufficiali per conseguire la stessa.

Vi è, poi, da dire che anche il contenuto della conversazione in questione, di cui si è data ampia sintesi in precedenza (p. 10.4.), sembra indicare il contrario di quanto sostiene la difesa, posto che l' A. non solo non si dice rassicurato dalle parole del F., il quale asserisce rinattaccabilità" del titolo edificatorio pure "se ci dovesse essere un reato", ma evoca autonomamente il D., ossia l'imprenditore presente nell'affare allorchè intervenne la nota dell'Unità 4.1. del D.R.U. n. 19.471 del 31 marzo 2004, e si dice preoccupato di quello che questi potrebbe riferire agli inquirenti.

13.6. Immune da vizi è la conclusione del concorso di Giuseppe F. nel reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.

La correttezza di tale conclusione si desume dalla strettissima interazione tra le condotte dello stesso e quelle del B. e del Porzio almeno a partire dal 2003, per cui è sufficiente richiamare quanto detto in relazione a tali posizioni. Deve solo aggiungersi che corretta è anche la conclusione che definisce la condotta del F. a norma degli artt. 110 e 319 c.p., posto che lo stesso si preoccupò di coordinare l'attività dei pubblici ufficiali al fine di ottenere il rilascio della concessione e poi di gestire per conto di questi i rapporti con gli imprenditori, i quali materialmente effettuarono gli esborsi delle somme e promisero l'attribuzione degli appartamenti, dimostrando, inoltre, e ripetutamente, l'atteggiamento di un "esattore".

13.7. Immune da vizi, infine, è la decisione di rigettare le richieste di rinnovazione del dibattimento in appello.

A fronte della ricostruzione dei fatti operata in sentenza, l'assunzione delle fonti di prova indicate dalla difesa del F. non avrebbe comunque offerto elementi decisivi. In particolare, ai fini dell'individuazione di un'attività contraria ai doveri di ufficio posta in essere dal B. in stretta sinergia con il F., è sufficiente considerare le condotte realizzate a partire dalla seconda metà del 2003, ed anche solo le sollecitazioni insistentemente ripetute nei primi tre mesi del 2006, sicchè non è dirimente l'eventuale dimostrazione dell'assenza di rapporti tra i due fino a buona parte del 2003. Per quanto attiene poi alla natura delle dazioni erogate dal F. al B., la sentenza impugnata ha indicato molteplici elementi dai quali desumere che le stesse costituirono prezzo della corruzione e compenso di prestazioni contrarie ai doveri di ufficio; di conseguenza, l'eventuale dimostrazione della richiesta di un prestito da parte del F. per aiutare il B. non sarebbe elemento tale da disarticolare il ragionamento probatorio dei giudici di merito sul punto.

L'assunzione delle prove indicate dalla difesa dello S. e del M. si presenta anch'essa priva di decisività. Innanzitutto, perchè gli accertamenti richiesti possano avere qualche rilevanza, non dovrebbe discutersi se il fondo degli eredi C. "potesse" essere classificato in zona "B", ma se "dovesse" necessariamente essere qualificato in tal modo: in altri termini, per ritenere l'offensività delle condotte in relazione ai beni giuridici dell'imparzialità e del buon andamento dell'amministrazione e del corretto assetto del territorio, è sufficiente assumere che gli enti territoriali abbiano legittimamente esercitato, all'epoca dei fatti, i loro poteri pianificatori, connotati da amplissima discrezionalità nello scegliere le destinazioni d'uso dei suoli, allorchè hanno escluso che il fondo dei fratelli C. dovesse essere classificato in zona "B", invece che in zona "C", comunque edificabile. Sotto questo profilo, va evidenziato, in primo luogo, che l'architetto M., di cui si chiedeva un nuovo esame in appello, ha espressamente escluso in dibattimento che il terreno potesse essere qualificato come zona "B4c", perchè non aveva i requisiti richiesti dal D.M. n. 1444 del 1968, in quanto insistente su un'area, da un lato, priva di un piano attuativo o di lottizzazione, e, dall'altro, sfornita di opere di urbanizzazione primaria; va poi aggiunto che conclusioni contrarie non possono essere desunte da documentazione fotografica o da una decisione del T.A.R. che ha ritenuto illegittima l'inclusione di un terreno contiguo in zona agricola, specie se si considera che il suolo dei C. era stato comunque classificato come edificabile. Inoltre, ai fini della configurabilità della corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, sarebbe sufficiente tenere conto della condotta di stabile asservimento agli interessi privati da parte del B. e del P. nei primi mesi del 2006.

14. Con riferimento alla configurabilità del reato di lottizzazione abusiva, dichiarato prescritto già in primo grado, ed alla statuizione di confisca del terreno oggetto della concessione e delle opere ivi realizzate, disposta in conseguenza dell'affermata sussistenza del precisato reato, le censure, formulate dalle difese degli imputati A., M. e S., presentano doglianze in gran parte comuni.

14.1. La difesa di A.G. lamenta, nel quinto e nel sesto motivo, che la necessità di un piano di lottizzazione per costruire può derivare esclusivamente da una valutazione tecnica di competenza dell'amministrazione, nel caso di specie assente, e che, comunque la sentenza impugnata non precisa perchè fosse necessario un piano di lottizzazione. Censura, poi, nel settimo e nell'ottavo motivo, che non è mai intervenuta condanna per il reato di lottizzazione abusiva, attesa la dichiarazione di prescrizione pronunciata già all'esito del giudizio di primo grado, e che la motivazione della sentenza impugnata, sul punto, è meramente apparente.

14.2. La difesa di M.G. e di S.A. contesta, innanzitutto, nel quinto motivo, la configurabilità del reato di lottizzazione abusiva, assumendo che gli atti amministrativi posti a base dell'attività edificatoria sono legittimi, che comunque sono stati adottati con il concorso di numerosi soggetti cui non è stato nemmeno imputato il delitto di corruzione, che gli imputati S. e M. erano intervenuti nel procedimento solo dopo il rilascio del certificato di destinazione urbanistica del suolo, attestante la classificazione dello stesso in zona "B", e che comunque corretta doveva ritenersi tale classificazione del terreno dei fratelli C.. Critica, poi, nel sesto motivo, l'emissione del provvedimento di confisca nonostante l'annullamento senza rinvio del prodromico provvedimento di sequestro, l'insussistenza di fatti qualificabili come lottizzazione abusiva e, comunque, la dichiarazione di prescrizione in ordine a detto reato già alla fine del giudizio di primo grado.

15. Le questioni formulate dalle difese pongono i problemi della configurabilità del reato di lottizzazione abusiva nonostante il rilascio di provvedimenti abilitativi, dell'ammissibilità della confisca di beni ritenuti oggetto del reato di lottizzazione abusiva, nonostante l'assenza di qualunque condanna per tale reato, e dell'ammissibilità, in generale, della confisca, nonostante l'annullamento del precedente provvedimento di sequestro.

15.1. La configurabilità del reato di lottizzazione abusiva nonostante il rilascio di provvedimenti amministrativi abilitanti l'attività edificatoria è comunemente ammessa dalla giurisprudenza di legittimità, almeno quando l'atto abilitativo sia frutto di un reato.

Invero, secondo l'orientamento ampiamente prevalente nella giurisprudenza, il rilascio della concessione edilizia non esclude l'affermazione della responsabilità penale per i reati di edificazione abusiva o di lottizzazione abusiva ove si riscontri la difformità dell'opera realizzata o realizzanda rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, e non impone nemmeno una "disapplicazione" dell'atto amministrativo, in quanto il provvedimento concessorio non è idoneo a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera interessata senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto approvato (cfr. Sez. U, n. 11635 del 12/11/1993, Borgia, Rv. 195359, nonchè, più recente, Sez. 3, n. 36366 del 16/06/2015, Faiola, Rv. 265034, e Sez. F, n. 33600 del 23/08/2012, Lo Vullo, Rv. 253426).

Anche secondo il diverso orientamento, di recente riproposto, in forza del quale, ai fini della configurabilità delle ipotesi di reato previste nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b) e c), non possono ritenersi realizzate in "assenza" di permesso di costruire le opere eseguite sulla base di un provvedimento abilitativo meramente illegittimo, è comunque fatta salva l'ipotesi in cui il provvedimento abilitativo sia illecito o viziato da illegittimità macroscopica tale da potersi ritenere sostanzialmente mancante (così Sez. 3, n. 7423 del 18/12/2014, dep. 2015, Cervino, Rv. 263916, e in precedenza, Sez. 4, n. 38824 del 17/09/2008, Raso, Rv. 241064).

15.2. Il tema dell'ammissibilità della confisca di beni ritenuti oggetto del reato di lottizzazione abusiva, nonostante l'assenza di una condanna per tale reato, ha dato luogo ad un ampio dibattito.

Gli approdi più recenti della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, che hanno "relativizzato" opposte indicazioni provenienti da una decisione della Corte Europea dei diritti dell'uomo (Corte E.D.U. del 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia, ric. N. 17475/09), ritengono legittima la confisca dei beni oggetto di lottizzazione abusiva anche quando non sia intervenuta sentenza di condanna (cfr., per la giurisprudenza costituzionale, Corte cost., n. 49 del 2015 e n. 187 del 2015, nonchè, per la giurisprudenza di legittimità, tra le tante, Sez. 3, n. 15888 del 08/04/2015, dep. 2016, Sannella, Rv. 266628, nonchè Sez. 4, n. 31239 del 23/06/2015, Giallombardo, Rv. 264337).

In particolare, Corte cost. n. 187 del 2015, ha precisato che non è necessaria nemmeno la pronuncia di una sentenza di condanna non definitiva per procedersi a confisca di beni oggetto di lottizzazione abusiva, purchè vi sia stato un "un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa". A tal fine, il Giudice delle Leggi ha evidenziato, tra l'altro, che: "la sentenza della Corte EDU nel caso Varvara può essere letta nel senso che la confisca urbanistica non esige una sentenza di condanna da parte del giudice penale, posto che il rispetto delle garanzie previste dalla CEDU richiede solo un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa"; "ai fini dell'osservanza della CEDU rileva non la forma della pronuncia con cui è applicata una misura sanzionatoria ma la pienezza dell'accertamento di responsabilità, tale da vincere la presunzione di non colpevolezza"; "tale accertamento è compatibile con una pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato conseguente alla prescrizione (sentenze n. 49 del 2015, n. 239 del 2009 e n. 85 del 2008)".

Nè contro questa impostazione contrasta il principio enunciato da Sez. 3, n. 35313 del 19/05/2016, Imolese, Rv. 267534, posto che detta decisione individua una preclusione al provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca in ipotesi in cui la prescrizione era maturata prima dell'esercizio dell'azione penale, e non era pertanto possibile un giudizio tale da assicurare pienezza del contraddittorio e della partecipazione degli interessati all'accertamento del reato.

L'orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità di cui si è dato conto è pienamente condiviso dal Collegio.

Ed infatti, detta soluzione appare confortata da molteplici indici normativi di diritto nazionale e sovranazionale.

Nel diritto dell'Unione Europea, un importante riferimento è offerto dalla direttiva 2014/42/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione Europea, entrata in vigore nel maggio 2014. Innanzitutto, la direttiva, specificamente dettata per i delitti di corruzione dei pubblici funzionari ed altri gravi reati oggetto di analitica elencazione, indica espressamente, nel punto 14 del Considerando, la tendenziale proiezione espansiva della disciplina da essa prevista anche in relazione ad illeciti penali diversi da quelli nominativamente menzionati, precisando: "Occorre che tali obblighi siano mantenuti per i reati non contemplati dalla presente direttiva e che il concetto di provento quale definito nella presente direttiva sia interpretato in modo simile con riferimento ai reati non contemplati dalla presente direttiva". Inoltre, la medesima direttiva, contempla espressamente l'ammissibilità della confisca anche quando non sia possibile una "condanna penale definitiva", ma sia stato avviato un procedimento penale, addirittura imponendo l'ablazione come obbligatoria "almeno" nei casi di impossibilità derivante da malattia o da fuga dell'indagato o imputato; l'art. 4, par. 2, recita infatti: "Qualora la confisca sulla base del paragrafo 1 non sia possibile, almeno nei casi in cui tale impossibilità risulti da malattia o da fuga dell'indagato o imputato, gli Stati membri adottano le misure necessarie per consentire la confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato laddove sia stato avviato un procedimento penale per un reato che può produrre, direttamente o indirettamente, un vantaggio economico e detto procedimento avrebbe potuto concludersi con una condanna penale se l'indagato o imputato avesse potuto essere processato". Ancora, la direttiva in discorso prevede l'ammissibilità della confisca anche nei confronti dei terzi, precisando, nel punto 24 del Considerando, che, tra i casi rilevanti, rientrano anche le acquisizioni compiute "ad esempio tramite un intermediario, da un indagato o imputato, ivi compreso quando il reato è stato commesso per suo conto o a suo vantaggio (...)".

Nel diritto interno, poi, l'orientamento della giurisprudenza costituzionale ed ordinaria si presenta in linea con le indicazioni provenienti dalla disciplina generale di cui all'art. 240 c.p..

In particolare, la disposizione appena citata prevede che è sempre ordinata la confisca "delle cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è pronunciata condanna" (comma 2, n. 2), salvo se "la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione o l'alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa" (terzo comma). Ora, l'uso di un terreno mediante lottizzazione abusiva costituisce reato, a norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, secondo cui, in particolare, "Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terrenti stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottate, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione (...)". Inoltre, non è consentita sanatoria di quanto è realizzato in attuazione di una lottizzazione abusiva (cfr. il combinato disposto del D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 36 e 45), e "le aree lottizzate sono acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune" (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 8). Può aggiungersi, ancora, che la confisca ex art. 240 c.p. è ritenuta generalmente applicabile anche nei confronti di beni rientranti nella titolarità formale di persona giuridica nel cui interesse il reato è stato commesso da parte di un suo legale rappresentate (cfr., ad esempio, Sez. 2, n. 14600 del 12/03/2014, Ber Banca spa, Rv. 260144, e Sez. 2, n. 11173 del 14/10/1992, Tassinari, Rv. 193422); anzi, si è evidenziato anche nella giurisprudenza delle sezioni unite che l'insussistenza di ostacoli di tipo formale alla misura ablatoria è assoluta se l'ente sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni (così, per tutte, Sez. U, n. 10561 del 30/01/2014, Gubert, Rv. 258646).

15.3. Non è in discussione, infine, l'ammissibilità, in generale, dell'adozione del provvedimento di confisca, nonostante l'annullamento del precedente provvedimento di sequestro.

In linea generale, non vi è motivo di dubitare che il provvedimento di confisca possa essere adottato anche quando non vi è stato precedente provvedimento di sequestro, poichè nessuna disposizione attribuisce alla misura cautelare una funzione di presupposto indispensabile per l'emissione del provvedimento ablatorio (cfr., ad esempio, per la legittimità della confisca per equivalente disposta in assenza di un precedente provvedimento cautelare, Sez. 5, n. 9738 del 02/12/2014, dep. 2015, Giallombardo, Rv. 262893).

Inoltre, quanto alla non vincolatività ai fini del giudizio di merito delle decisioni emesse in sede cautelare è sufficiente richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 121 del 2009, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 405 c.p.p., comma 1-bis, nella parte in cui inibiva l'esercizio dell'azione penale se la Corte di cassazione avesse affermato l'insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non fossero stati acquisiti ulteriori elementi a carico della persona sottoposta ad indagini.

16. Alla luce dei principi di diritto indicati, e degli elementi fattuali evidenziati nella sentenza impugnata, le censure formulate dai ricorrenti A., M. e S. risultano infondate.

16.1. Immune da vizi è la conclusione in ordine alla sussistenza del reato di lottizzazione abusiva.

Ed infatti, posto che il reato in questione è configurabile anche in presenza di un provvedimento abilitativo, almeno se questo sia stato conseguito per effetto di un reato. "quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terrenti stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottate", a norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, non è manifestamente illogico assumere che i ricorrenti A., S. e M. realizzarono detta condotta allorchè diedero corso ai lavori diretti alla edificazione del complesso residenziale costituito da otto corpi di fabbrica pluripiano sul terreno precedentemente di proprietà dei fratelli C. in (OMISSIS), località (OMISSIS).

Correttamente la sentenza impugnata ha ricostruito quali fossero le prescrizioni degli strumenti urbanistici relative alla zona interessata evidenziando che la stessa, alla luce della disciplina approvata con il Decreto Dirigenziale n. 686 del 2 settembre 2002, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Sicilia, e poi confermata nel Decreto Dirigenziale n. 858 dell'8 luglio 2003, era qualificata come zona "C", ossia come zona di espansione edilizia, di per sè richiedente anche l'adozione di ulteriori strumenti di programmazione, quali l'adozione di un piano attuativo o di una convenzione di lottizzazione, nonchè la realizzazione di opere di urbanizzazione, e non come zona "B", ossia come zona di completamento, sulla quale era possibile procedere ad interventi edificatori sulla base della sola concessione (rectius: permesso di costruire). Correttamente, inoltre, ed in conseguenza di quanto appena segnalato, la sentenza impugnata ha evidenziato che la nota "interpretativa" dell'Unità 4.1. del D.R.U. n. 19.471 del 31 marzo 2004 aveva un contenuto ideologicamente falso. Si è anche rappresentato, in precedenza (p. 13.1.) che appare singolare che gli Uffici competenti del Comune di Messina, per rilasciare la concessione ritennero sufficiente un atto proveniente da un organo tecnico, il quale formulava solo proposte di pareri, a loro volta preliminari all'adozione del provvedimento amministrativo finale, sebbene, alla precedente richiesta di chiarimenti del medesimo Ufficio tecnico comunale, avente identico contenuto, la risposta era stata data con Decreto Dirigenziale, il 858 dell'8 luglio 2003, e l'Unità operativa 4.1. del D.R.U. si era limitata ad esprimere una mera proposta di parere, dapprima esaminata dal C.R.U. e poi recepita nel Decreto Dirigenziale.

Già il corretto accertamento di tale situazione sarebbe sufficiente ad evidenziare la sussistenza di una lottizzazione abusiva. Deve aggiungersi,

peraltro, che la concessione edilizia n. (OMISSIS) non solo era viziata dalle gravi illegittimità sostanziali indicate, ma costituì il termine di un'incessante attività sollecitatoria posta in essere, in adempimento di un accordo corruttivo, dal B. e dal P., ossia da una persona appena cessata dall'incarico di Presidente del Consiglio Comunale di Messina, e che continuava ad avvalersi della sua influenza e rete di rapporti incidente all'interno dell'ente territoriale, nonchè da un appartenente di quello stesso Ufficio tecnico competente alla emanazione dell'atto.

Tenendo conto di quanto detto, irrilevante è che la concessione in questione sia stato formalmente emanato da soggetto o soggetti non imputati del reato di corruzione: il reato di lottizzazione abusiva non è integrato dal rilascio dell'atto abilitativo, bensì dalla "violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottate". In ogni caso, anche l'indicata concessione costituì il punto finale di un'attività corruttiva.

Nè poi è manifestamente illogica la riferibilità all' A., al M. ed allo S. del reato di lottizzazione abusiva. Da un lato, detto reato, in quanto contravvenzione, è perfezionato anche se la condotta è semplicemente colposa. Dall'altro, poi, i tre ricorrenti sono stati ritenuti, con motivazione immune da vizi, responsabili del reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio proprio con riferimento all'attività posta in essere dal F., dal B. e dal P. ai fini del rilascio della concessione edilizia n. (OMISSIS).

16.2. Legittima è la statuizione della confisca dei terreni e delle opere interessati dalle attività di lottizzazione abusiva.

Si è già precedentemente evidenziato che deve ritenersi ammissibile la confisca per il reato di lottizzazione abusiva, anche se non è intervenuta condanna, purchè vi sia stato un "un pieno accertamento della responsabilità personale di chi è soggetto alla misura ablativa" (p. 15.2), e che il provvedimento ablatorio non deve essere necessariamente preceduto dal sequestro, nè, comunque, la sua adozione è inibita dall'annullamento della corrispondente misura cautelare.

Ora, anche dalla documentazione allegata al ricorso presentato nell'interesse dello S. e del M., risulta che la S.A.M.M. Costruzioni s.r.l.: fu costituita il 17 maggio 2005 da A.G., M.G., S.A. nella qualità di amministratore unico della società denominata "Gardenia Costruzioni s.r.l." ed M.A., ciascuno titolare di una quota pari al 250/0 del capitale sociale; registrò, in pari data, l'elezione di un consiglio di amministrazione, composto da M.G. come presidente, e A.G. e S.A. come consiglieri, per una durata di tre anni; si rese acquirente del terreno di proprietà dei fratelli C. nel dicembre 2015, all'esito di una riunione del consiglio di amministrazione al quale parteciparono tutti e tre gli imputati indicati, e nella quale fu previsto che l'acquisto avvenisse al prezzo di 1.750.000 Euro, di cui 1.000.000 di Euro "con imputazione in conto prezzo delle somme già versate agli acquirenti a titolo di deposito fruttifero", e gli altri 750.000 Euro mediante conguaglio mediante la consegna di diciotto unità immobiliari da costruire.

Risulta perciò legittimamente disposta la misura ablativa nei confronti di A.G., M.G. e S.A..

17. In quanto concernente la misura della confisca, si affronta a questo punto anche la questione posta con il quarto motivo del ricorso incidentale presentato nell'interesse di M.G. e S.A..

17.1. Precisamente, i ricorrenti appena indicati lamentano che la confisca ha riguardato terreni e corpi di fabbrica di proprietà della S.A.M.M. Costruzioni s.r.l., e che alla stessa doveva essere garantita interlocuzione, tanto più che l'attuale amministratore di essa è M.A., persona mai coinvolta nel processo, ed in linea con quanto evidenziato dalla Corte di cassazione, la cui Sez. 1, ha sollevato questione di costituzionalità.

17.2. La censura in discorso può essere ritenuta tempestivamente formulata come motivo nuovo, in quanto relativa a questione strettamente connessa con quelle dedotte nel ricorso originario.

Si tratta, però, sotto il profilo della legittimazione, di censura che, eventualmente, avrebbe dovuto essere formulata dal terzo interessato e non dagli imputati del presente processo. Inoltre, sotto l'aspetto sostanziale, la doglianza non considera che, secondo l'ordinamento vigente, la mancata partecipazione dei formali intestatari dei beni non rende invalida o illegittima la confisca disposta all'esito del procedimento penale, ma determina l'attribuzione ai terzi non citati a partecipare alla procedura il rimedio dell'incidente di esecuzione. Nè questo assetto normativo è posto in dubbio dalla questione sollevata da Sez. 1, n. 8317 del 14/01/2016, Gatto, in quanto la stessa concerne la legittimità costituzionale - con riferimento agli artt. 3, 24, 42, 111 e 117 Cost. - dell'art. 573 c.p.p., art. 579 c.p.p., comma 3 e art. 593 c.p.p. nella parte in cui dette norme non prevedono, a favore di terzi incisi nel diritto di proprietà per effetto della sentenza di primo grado, la facoltà di proporre appello sul solo capo contenente la statuizione di confisca.

18. Le censure formulate dalle parti civili ricorrenti si rivolgono contro la parte della sentenza che ha escluso la configurabilità, in capo alle stesse, del diritto al diritto al risarcimento dei danni derivanti da reato.

18.1. Le questioni, in riferimento al fondamento della pretesa giuridica azionata, possono essere distinte in due classi omogenee.

Da un lato, infatti, i promissari acquirenti degli appartamenti e dei locali - che gli imprenditori A.G., M.G. e S.A. avevano iniziato a realizzare sul terreno originariamente di proprietà della famiglia C. chiedono l'affermazione della responsabilità civile del Comune di Messina, degli imputati condannati, e in alcuni casi anche di altri imputati, per i danni derivanti dal reato di corruzione, sul presupposto della lesione del loro affidamento nella correttezza e legittimità dell'azione amministrativa, sulla base del quale si erano determinati a stipulare i contratti preliminari e a versare gli acconti. Dall'altro, invece, il W.W.F. chiede l'affermazione della responsabilità civile del Comune di Messina, degli imputati condannati, e di altri imputati, per i danni derivanti dal reato di corruzione, sul presupposto della lesione agli interessi ambientali e paesaggistici da esso promossi e, conseguentemente, della perdita di credibilità e del pregiudizio alla propria attività istituzionale.

18.2. Preliminarmente all'esame delle questioni poste nei ricorsi delle parti civili, deve essere affrontato il problema posto nel secondo motivo del ricorso incidentale presentato nell'interesse del M. e dello S., e che assume l'inammissibilità dei ricorsi delle parti civili perchè le stesse non hanno impugnato la sentenza di primo grado laddove aveva omesso di condannare al risarcimento dei danni la Regione Sicilia, ed hanno così aggravato la posizione degli altri debitori, in violazione del principio di correttezza di cui all'art. 1175 c.c..

Occorre innanzitutto precisare che la questione in esame - come quella posta nel terzo motivo di ricorso denominato incidentale - è qualificabile come argomento difensivo a sostegno della sentenza impugnata: si tratta, cioè di una deduzione che poteva essere esposta anche in una memoria, e che, quindi, non onerava gli istanti a proporre specifica impugnazione perchè il giudice adito la prendesse in considerazione. E' perciò irrilevante che l'atto in cui sia contenuta la censura sia stato denominato ricorso per cassazione incidentale, così come, per la stessa ragione, è irrilevante, nel presente giudizio, la questione di legittimità costituzionale proposta nel primo motivo del ricorso cd. incidentale circa la mancata previsione, da parte del legislatore, dell'istituto del ricorso per cassazione incidentale.

Nel merito, tuttavia, la questione è manifestamente infondata.

Invero, non vi è alcuna disposizione o principio che impone a colui che agisce per ottenere il risarcimento del danno di promuovere le proprie ragioni nei confronti di tutti i possibili autori dell'illecito. E' sufficiente rilevare che l'art. 2055 c.p., al comma 2, prevede espressamente l'azione di regresso di colui che ha risarcito il danno nei confronti degli altri responsabili del fatto dannoso. Inoltre, nel sistema delle obbligazioni solidali, nel cui ambito l'art. 2055 c.c. inscrive il fatto dannoso imputabile a più persone, è espressamente prevista dall'art. 1306 c.c. l'ipotesi della "sentenza tra il creditore e uno dei debitori in solido (...)".

19. L'impugnazione proposta dai promissari acquirenti degli appartamenti e dei locali costituiti parti civili per i danni derivanti dal reato di corruzione, sul presupposto della lesione del loro affidamento nella correttezza e legittimità dell'azione amministrativa, è fondata nei confronti degli imputati F.G., B.U., P.A., A.G., M.G. e S.A., e del responsabile civile Comune di Messina, mentre è inammissibile nei confronti di M.S., A.S., g.G. e c.C.A., imputati prosciolti o per i quali è stata dichiarata la prescrizione già all'esito del giudizio di primo grado.

19.1. E' necessario premettere che risulta più volte prospettata nella giurisprudenza civile della Corte di cassazione la configurabilità del diritto del privato al risarcimento dei danni subiti per l'incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo in termini di diritto soggettivo (cfr., in particolare, Cass. civ., Sez. U, n. 17586 del 04/09/2015, Rv. 636105; Cass. civ., Sez. U, n. 6594 del 23/03/2011, Rv. 616518; Cass. civ., Sez. U, n. 4805 del 07/03/2005, Rv. 579431). La più recente delle decisioni citate (Sez. U, n. 17586 del 2015), anzi, ha individuato esplicitamente l'esistenza di una situazione di diritto soggettivo, tutelabile ex art. 2043 c.c., rappresentata dalla conservazione alla integrità del patrimonio, rispetto alla quale l'esercizio del potere amministrativo rileva non in sè, ma quale comportamento determinativo di un affidamento incolpevole e, conseguentemente, della decisione del privato di compiere un'attività economicamente onerosa, e che sarebbe stata evitata se, invece, l'azione amministrativa fosse stata legittimamente posta in essere (v., specificamente, p. 8.3. della motivazione).

Posto il riconoscimento in giurisprudenza di detta situazione giuridica di diritto soggettivo, deve ritenersi configurabile, in linea di principio, una pretesa risarcitoria dei promissari acquirenti degli edifici in corso di costruzione sul fondo originariamente di proprietà dei fratelli C. sia nei confronti di coloro che dolosamente determinarono una situazione di affidamento incolpevole mediante la commissione di un reato il cui risultato finale fu l'adozione della concessione edilizia n. (OMISSIS), sia nei confronti dell'ente territoriale che emanò detto provvedimento abilitativo per effetto della condotta delittuosa anche di soggetti che agivano formalmente per suo conto.

19.1.1. Per quanto riguarda la pretesa risarcitoria nei confronti degli imputati F.G., B.U., P.A., A.G., M.G. e S.A., occorre prendere in considerazione il ruolo da questi svolto per l'emanazione della concessione edilizia, e l'efficacia causale di quest'ultima a ai fini delle spese sostenute dai promissari acquirenti. Da un lato, infatti, il rilascio della concessione edilizia n. (OMISSIS) fu il presupposto indefettibile della stipula dei compromessi e, quindi, del pagamento degli acconti da parte dei promissari acquirenti: non a caso, anche dalla motivazione della sentenza impugnata emerge l'affannosa e pressante attività sollecitatoria del F., del B. e del P. per conseguire il più rapidamente possibile l'adozione del titolo abilitativo dopo averne ricevuto richiesta da parte dell' A., il quale segnalava la necessità di disporre del numero del provvedimento per poterlo indicare nei compromessi e reperire la liquidità necessaria per pagare gli illeciti compensi corruttivi.

Dall'altro, poi, il rilascio della concessione edilizia in questione avvenne proprio all'esito dell'incessante attività di "pressione" del F., del P. e del B., e dopo che quest'ultimo "scomodò" anche il viceministro della Repubblica onorevole R.; detta attività sollecitatoria, inoltre, fu posta in essere dai tre imputati appena indicati non solo nella piena consapevolezza dell'illegittimità, quanto meno sostanziale, del provvedimento abilitativo e dell'artificio documentale, la nota "interpretativa" ideologicamente falsa del 31 marzo 2004, che ne costituiva il presupposto di legalità apparente, ma anche in adempimento delle remunerazioni corruttive corrisposte da A.G., M.G. e S.A..

E' perciò legittimo ascrivere alla condotta illecita degli imputati F.G., B.U., P.A., A.G., M.G. e S.A., correttamente sussunta nella fattispecie del reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, la creazione di un affidamento incolpevole in capo ai privati che stipularono con A.G. i compromessi e pagarono gli acconti per l'acquisto degli appartamenti e locali in corso di costruzione sul fondo già di proprietà dei fratelli C..

19.1.2. Per quanto riguarda la pretesa risarcitoria nei confronti del Comune di Messina, va rilevato che le condotte del P. e del B. furono poste in essere nell'esercizio delle funzioni di organi o impiegati dell'ente territoriale, o comunque avvalendosi dell'influenza maturata nell'esercizio di tali funzioni. Sussiste, quindi, un nesso di occasionalità necessaria tra le funzioni pubbliche esercitate e la condotta delittuosa per effetto della quale si postula la creazione di un affidamento incolpevole in capo ai promissari acquirenti. Nè un limite alla responsabilità del Comune può derivare dal fatto che, attraverso i fatti di corruzione, gli imputati perseguirono un interesse proprio. Si è detto che la creazione di un affidamento incolpevole per l'esercizio di funzioni amministrative lede il diritto soggettivo alla conservazione dell'integrità del patrimonio in capo al soggetto interessato. Si deve aggiungere che, a norma dell'art. 28 Cost., "I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici".

Sulla base di tale disposizione, sembra corretto escludere una distinzione tra attività posta in essere nell'esercizio di funzioni pubbliche, e animata da finalità di tipo pubblicistico, e attività posta in essere nell'esercizio di funzioni pubbliche, ma animata da finalità di tipo privatistico (cfr., per precedenti giurisprudenziali recenti in questo senso, Sez. 6, n. 13799 del 20/01/2015, Pinzone, Rv. 262945, con riferimento a reati di peculato, falso e truffa, nonchè, più in generale, Sez. 3, n. 32941 del 28/04/2010, Monetti, Rv. 248392, la quale, pronunciandosi con riferimento alla posizione di un Comune per l'illegittimo rilascio di un permesso di costruire, ha affermato che l'amministrazione pubblica assume la veste di responsabile civile in relazione al fatto criminoso del funzionario che abbia comportato l'adozione di un provvedimento amministrativo illegittimo, da cui sia derivato un danno ad una situazione soggettiva tutelata dall'ordinamento, perchè in capo all' amministrazione stessa si configura l'elemento della colpa per violazione delle regole di imparzialità, correttezza e di buona amministrazione).

19.2. Si è già precisato, tuttavia, che le pretesa risarcitoria dei promissari acquirenti degli edifici in corso di costruzione sia nei confronti degli imputati sopra specificati, sia nei confronti del Comune di Messina, è configurabile in linea di principio. Compete, infatti, al giudice del merito un esame approfondito della vicenda al fine di verificare se, e in che misura, vi fu affidamento incolpevole delle parti civili in questione: solo all'esito di questo accertamento, sarà possibile procedere alla individuazione del danno risarcibile. Per queste ragioni, deve ritenersi assorbita la questione dedotta nel terzo motivo di ricorso cd. incidentale presentato nell'interesse del M. e dello S..

19.3. Inammissibile, invece, è l'impugnazione delle parti civili L.P.D. e m.L.M., nei confronti di A.S., nonchè delle parti civili Ma.Lu., Me.Gi., G.G., O.E., Gi.Do., Ca.Gi., Fr.Di.Ma. e Ce.Al. nei confronti di M.S., g.G., e c.C.A..

Invero, A.S. è stato assolto all'esito del giudizio di primo grado, nè nei confronti dello stesso risulta essere stato proposto appello, sicchè avverso la pretesa risarcitoria nei suoi confronti esiste il limite del giudicato.

Nei confronti di g.G. e C.C.A., invece, è stata dichiarata la prescrizione del reato già all'esito del giudizio di primo grado; di conseguenza, contro gli stessi, l'azione risarcitoria può essere esercitata solo, ed ex novo, davanti al giudice civile.

Santi M., infine, è stato assolto per non aver commesso il fatto all'esito del giudizio di appello. Avverso la statuizione assolutoria non è stata formulata alcuna censura dalle parti civili Ma.Lu., Me.Gi., G.G., O.E., Gi.Do., Ca.Gi., Fr.Di.Ma. e Ce.Al.. Di conseguenza, l'impugnazione agli effetti civili dalle precisate parti civili nei confronti del precisato M.S. è, quanto meno, priva della specificità richiesta a norma dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c).

20. L'impugnazione proposta dal W.W.F. per i danni derivanti dal reato di corruzione, sul presupposto della lesione degli interessi ambientali e paesaggistici da esso promossi e, conseguentemente, della predita di credibilità e del pregiudizio alla propria attività istituzionale, è fondata nei confronti degli imputati F.G., B.U., P.A., A.G., M.G. e S.A., mentre è inammissibile sia nei confronti di g.G. e c.C.A., imputati per i quali è stata dichiarata la prescrizione già all'esito del giudizio di primo grado, sia nei confronti di M.S., assolto dalla Corte d'appello per non aver commesso il fatto.

20.1. Risalente è il riconoscimento del diritto delle associazioni ambientaliste a costituirsi parte civile a tutela degli interessi ambientali (cfr., ad esempio, Sez. 3, n. 14828 del 11/02/2010, De Flammineis, Rv. 246812, proprio con riferimento al W.W.F. in relazione a fatti di degrado ambientale, ma anche Sez. 3, n. 25873 del 26/05/2010, Sassi, Rv. 247929, con riferimento al reato di uccellagione). La giurisprudenza, inoltre, ha anche precisato che le associazioni ambientaliste riconosciute sono legittimate a costituirsi parte civile sia in procedimenti concernenti il reato di lottizzazione abusiva (così Sez. 3, n. 3872 del 22/10/2010, dep. 2011, Legambiente Regione Sicilia, Rv. 249152, la quale ha ritenuto la legittimazione di tale tipologia di associazioni ad agire anche a tutela degli interessi ambientali "in senso lato", comprendenti la conservazione e valorizzazione dell'ambiente in senso ampio, del paesaggio urbano, rurale, naturale nonchè dei monumenti e centri storici), sia per reati commessi in occasione o con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell'ambiente e del territorio, come in relazione a delitti di falso e di abuso di ufficio preordinati alla realizzazione di abusi edilizi (in tal senso Sez. 5, n. 7015 del 17/11/2010, dep. 2011, Associazione Legambiente Onlus, Rv. 249828, la quale richiama in motivazione, come precedente conforme anche Sez. 6, n. 21085 del 28/01/2004, Sodano, mass. per altro).

Si è inoltre affermato che le associazioni ambientaliste, nei procedimenti appena indicati, sono legittimate a costituirsi parti civili iure proprio, sia come titolari di un diritto della personalità connesso al perseguimento delle finalità statutarie, sia come enti esponenziali del diritto alla tutela ambientale (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 7015 del 2011, Associazione Legambiente Onlus, cit., nonchè Sez. 3, n. 35393 del 21/05/2008, Pregnolato, Rv. 240788).

Il Collegio, nel fare applicazione dei principi giurisprudenziali richiamati, e che condivide, evidenzia che, nella vicenda in esame, il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio è stato commesso proprio con la finalità di violare normative dirette alla tutela dell'ambiente e del territorio, e precisamente per realizzare una lottizzazione abusiva del territorio del Comune di Messina, conducente alla edificazione di otto corpi di fabbrica per circa duecento appartamenti, in contrasto con la destinazione di zona stabilita negli strumenti di pianificazione urbanistica del territorio, così alterando il paesaggio della località interessata.

E' pertanto configurabile il diritto del W.W.F. al risarcimento dei danni nei confronti degli imputati F.G., B.U., P.A., A.G., M.G. e S.A., per la lesione che dalla loro condotta delittuosa è derivata agli interessi ambientali e paesaggistici promossi dall'associazione, nonchè alla credibilità di questa in relazione allo svolgimento della sua attività istituzionale.

Ovviamente, attesa la necessità di valutare compiutamente i fatti rilevanti, si demanda al giudice di merito la concreta individuazione del contenuto del diritto risarcitorio del W.W.F..

20.2. Inammissibile, invece, è l'impugnazione della parte civile W.W.F. nei confronti di M.S., g.G., e c.C.A..

Come si è già rilevato in precedenza, nei confronti di g.G. e c.C.A. è stata dichiarata la prescrizione del reato già all'esito del giudizio di primo grado; di conseguenza, contro gli stessi, l'azione risarcitoria può essere esercitata solo, ed ex novo, davanti al giudice civile.

M.S., poi, è stato assolto per non aver commesso il fatto all'esito del giudizio di appello. Avverso la statuizione assolutoria non è stata formulata alcuna censura dalla parte civile W.W.F.. Di conseguenza, anche l'impugnazione agli effetti civili proposta dal W.W.F. nei confronti del precisato M.S. è, quanto meno, priva della specificità richiesta a norma dell'art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c).

21. In conclusione, quindi, la sentenza impugnata deve annullata senza rinvio nei confronti di B.U., F.G., P.A. e A.G. perchè i reati loro rispettivamente ascritti sono estinti per prescrizione. Devono essere invece rigettati i ricorsi di M.G. e S.A., per avere gli stessi rinunciato alla prescrizione, con conseguente condanna dei medesimi al pagamento delle spese processuali.

Devono essere confermate le statuizioni relative alla disposta confisca.

Deve essere infine annullata la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni concernenti le ricorrenti parti civili R.P., C.M., Ma.Lu., Me.Gi., G.G., O.E., Gi.Do., Ca.Gi., Fr.Di.Ma., Ce.Al., L.P.D., m.L.M., Ag.Ro., Bu.Vi., B.A. e W.W.F. Italia, e nei termini sopra precisati, con rinvio per nuovo giudizio sulla definizione dei profili di danno al giudice civile competente in grado di appello; a detto giudice, inoltre, deve essere demandato il complessivo regolamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili nel giudizio di appello e nel presente giudizio di legittimità.
PQM
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B.U., F.G., P.A. e A.G. perchè i reati loro rispettivamente ascritti sono estinti per prescrizione.

Rigetta i ricorsi di M.G. e S.A., che condanna al pagamento delle spese processuali.

Conferma le statuizioni relative alla disposta confisca.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni concernenti le ricorrenti parti civili R.P., C.M., MA.Lu., ME.Gi., G.G., O.E., GI.Do., CA.Gi., FR.Di.Ma., CE.Al., L.P.D., m.L.M., AG.Ro., BU.Vi., B.A. e W.W.F. Italia e rinvia per nuovo giudizio sulla definizione dei profili di danno al giudice civile competente in grado di appello, al quale demanda altresì il complessivo regolamento delle spese sostenute dalle medesime parti civili nel giudizio di appello e nel presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2017
Avv. Antonino Sugamele

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