Il traliccio porta antenna realizzato dalla parrocchia deturpa l'ambiente. Nessuna prevalenza delle esigenze di comunicazione elettroniche sui beni ambientali e culturali.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 12 dicembre 2013 - 13 gennaio 2014, n. 96
Presidente Romeo – Estensore Simonetti
Fatto e diritto
1. In data 15.11.2010 il Comune di Verona notificava alla Parrocchia di San Mattia Apostolo, quale proprietaria del terreno interessato, l'avvio del procedimento sanzionatorio paesaggistico-ambientale, relativamente ad un traliccio avente funzione di sostegno di impianti per radiotrasmissione, in quanto privo di autorizzazione paesaggistica.
2. La Parrocchia presentava domanda di sanatoria, ai sensi dell'art. 181, co. 1 quater, del d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali), per l'avvenuta realizzazione del traliccio medesimo, domanda respinta dal Comune con atto del 13.2.2012, sulla base del parere contrario formulato dalla Sovrintendenza.
3. Proposto ricorso avverso tale diniego, unitamente al parere, il Tar lo ha accolto sul duplice rilievo che nella fattispecie in esame dovesse farsi applicazione della disciplina di cui agli articoli 86 e 87 del d.lgs. 259/2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche) e che il diniego non fosse stato supportato da una idonea istruttoria.
4. Avverso la sentenza ha proposto appello solamente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, deducendone l'erroneità sia per quanto attiene alla ritenuta applicabilità del d.lgs. 259/2003, anziché del d.lgs. 42/2004, sia in relazione al parere della Sovrintendenza.
4.1. Si è costituita la Parrocchia, eccependo l'inammissibilità dell'appello per carenza di interesse del Ministero.
4.2. Si è costituita, inoltre, la Cirio Mazzoni Radiocomunicazioni s.n.c., già parte nel giudizio di primo grado nella veste di soggetto che ha in locazione il terreno su cui insiste il traliccio in contestazione, eccependo parimenti la carenza di interesse del Ministero e comunque l'infondatezza della sua impugnazione.
4.3. Accolta la domanda cautelare ai soli fini della fissazione del merito, all'udienza pubblica del 12.12.2013 la causa è passata in decisione.
5. Deve esaminarsi, in via preliminare, l'eccezione sollevata dalle controparti in ordine alla legittimazione attiva del Ministero, legittimazione contestata sul presupposto che il Ministero non abbia interesse a dedurre in merito alla disciplina applicabile alla fattispecie in esame e sul rilievo che il Comune non ha proposto appello e avrebbe, anzi, prestato acquiescenza alla sentenza procedendo all'indizione di una conferenza di servizi a norma dell'art. 87 del d.lgs. 259/2003.
5.1. L'eccezione è infondata.
5.2. Premessa la natura fondamentalmente duale, ovvero complessa, dell'atto impugnato con il ricorso in primo grado, data la natura vincolante e non solamente obbligatoria del parere ostativo della Sovrintendenza (definibile, sulla scorta di autorevole dottrina, come una vera e propria “decisione preliminare”), è evidente che il Ministero ha interesse a rivendicare l'applicabilità alla fattispecie in contestazione del d.lgs. 42/2004, non fosse altro perché in tale ambito il suo eventuale dissenso non è superabile e ha quindi efficacia ostativa, a differenza di quanto previsto invece dal d.lgs. 259/2003.
5.3. Né rileva, in senso contrario, il fatto che il Comune non abbia proposto appello alla sentenza, sembrando prestare acquiescenza ad essa (per quanto della conferenza di servizi annunciata all'indomani della sentenza non si sia più avuto alcuna comunicazione ufficiale), ove si consideri la natura della procedura che è all'origine della vicenda e gli interessi che vengono in evidenza e di cui, si vedrà, l'Amministrazione dei beni culturali è principale tutore.
6. Infatti, è necessario ricordare e precisare come alla base dell'atto di diniego impugnato con il ricorso in primo grado vi fosse una richiesta di autorizzazione paesaggistica in sanatoria, presentata dalla proprietà a norma dell'art. 181, co. 1 quater, del d.lgs. 42/2004, nell'ambito di un procedimento sanzionatorio già avviato dall'Autorità per un'ipotesi di abuso che, come noto, può avere rilevanza non solo sul piano amministrativo.
6.1. Sul presupposto, peraltro non contestato neppure in questa sede, che la zona in questione fosse sottoposta a vincolo paesaggistico e che dovesse applicarsi la disciplina prevista per i beni soggetti a tutela, era stata quindi la stessa proprietà del bene a chiedere un accertamento sulla compatibilità paesaggistica degli interventi effettuati in precedenza sul proprio bene, senza richiamare né invocare in alcun modo la disciplina di cui al d.lgs. 259/2003.
Il che si spiega anche in ragione del fatto che era stato contestato un abuso (non semplicemente edilizio) e che non si trattava di realizzare un nuovo intervento ma, semmai, di sanare un intervento già realizzato, anni prima, in assenza di autorizzazione paesaggistica.
6.2. In tale contesto, nel dare corso ad una domanda proposta in tal senso, l'Amministrazione non poteva non fare coerente e conseguente applicazione della disciplina che la stessa parte privata aveva invocato per prima, finendo per accertare, attraverso il parere della Sovrintendenza, l'incompatibilità dell'intervento in questione, date anche le dimensioni del traliccio, nell'ordine di 20 metri di altezza.
Solamente in quel momento, e solamente quindi a seguito del diniego ricevuto, la strategia difensiva dell'originaria ricorrente è mutata radicalmente, spostando la propria attenzione sul Codice delle comunicazioni elettroniche.
6.3. Al riguardo si deve in ogni caso chiarire come il d.lgs. n. 259/2003 abbia disciplinato un procedimento semplificato per la realizzazione delle infrastrutture delle comunicazioni elettroniche ai soli fini urbanistici, edilizi ed igienico sanitari (cfr. Cons, St., VI, n. 889/2006), che è destinato a prevalere unicamente sulla disciplina edilizia dettata con il T.U. di cui al d.p.r. 380/2001 (cfr. TAR Lazio, Roma, II, n. 6056/2006), restando salva invece la piena applicabilità delle norme a tutela paesaggistica (cfr., già, TAR Marche, n. 52/2004 e TAR Lazio, n. 2737/2007).
Non si reputa, pertanto, pertinente la giurisprudenza richiamata dalle controparti (v., ad esempio, Cons. St., VI, n. 4557/2010), secondo la quale la realizzazione degli impianti in questione – tralicci compresi, persino se risalenti nel tempo - dovrebbe ritenersi consentita sull'intero territorio nazionale con riferimento a qualsiasi tipo di destinazione di zona omogenea, concetto questo chiaramente riferibile unicamente alle destinazioni di tipo urbanistico.
La citata giurisprudenza, infatti, si riferisce alla disciplina urbanistico-edilizia e non anche a quella paesaggistica, rispetto alla quale è significativamente lo stesso d.lgs n. 259/2003, all'art. 86, co. 4, a prevedere espressamente la soggezione degli interventi di cui trattasi alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 42/2004.
6.4. Tanto chiarito in ordine a quale disciplina fosse da applicare a fronte della domanda presentata in sede amministrativa dalla proprietà, venendo ora ad esaminare il parere della Sovrintendenza, reputa il Collegio che il giudizio negativo in esso formulato si fondi su una motivazione sufficientemente dettagliata e che rivela l'esistenza di un'istruttoria all'apparenza completa ed approfondita.
6.5. E' sufficiente osservare, infatti, come il giudizio negativo sia giustificato sul rilievo che il traliccio “costituisce una presenza estremamente stridente nel pregevole contesto circostante”, che “comporta un'alterazione sostanziale sullo stato dei luoghi”, che “rappresenta un elemento avulso e fortemente prevaricante all'interno della zona collinare cittadina riconosciuta di notevole interesse pubblico”, per ritenere conseguente l'affermazione finale secondo cui si reputa che “la presenza della struttura in questione pregiudichi fortemente l'immagine della zona collinare cittadina e rappresenti un intervento lesivo dei valori storici, architettonici e paesaggistici tutelati dal vincolo”.
6.6. Giudizi circostanziati e articolati avverso i quali, a ben vedere, la proprietà non ha opposto contestazioni di sostanza, limitandosi a sostenere la tesi che in nome della prevalenza delle comunicazioni elettroniche la tutela dei beni culturali sarebbe per definizione recessiva.
7. In conclusione, per le ragioni sin qui evidenziate, l'appello è fondato e va accolto con la conseguenza che, in riforma della sentenza impugnata, va respinto l'originario ricorso di primo grado.
8. Le spese seguono il principio della soccombenza e sono liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza),
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna le parti appellate, in via tra loro solidale, al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero appellante, liquidandone nell'importo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
27-01-2014 15:33
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